mercoledì 18 aprile 2001

Terre di frontiera



La chiamano "la strada della morte". E' una strada sterrata e fangosa che si arrampica da Cobija, Bolivia, a Epitaciolandia, Brasile. Qui, tra sparatorie, faide e raid della polizia, passa una parte consistente della coca destinata al mercato brasiliano e agli Stati Uniti. Si parla di sei o settemila tonnellate ogni mese, che passano il confine e si perdono tra le baracche che costeggiano la strada di argilla.

Ma la Bolivia si raggiunge anche per altre vie, senza passare per il posti di frontiera o strade traverse: basta pagare qualche spicciolo a un traghettatore che ti fa attraversare in canoa il fiume Acre. Sono appena pochi metri, ma cambia il paesaggio, cambiano i volti. Scompaiono i coloni venuti dal nord est brasiliano a farsi consumare dalle malattie amazzoniche e scompaiono anche i baracconi cadenti di Brasileia, per fare posto ai visi allargati degli indios boliviani, in una citta' dall'antico fascino coloniale.
Case basse e larghe dai colori tenui, sovrastate da palme e banani che disegnano un contrasto di altri tempi. Signorili anziane passeggiano proteggendosi dal sole con un ombrello aperto, senza degnare di uno sguardo le statue, che ad ogni angolo presentano un eroe nazionale. Ovviamente militare.

Nella chiesa barocca, fresca e accogliente sotto un sole spietato, appare un opera di imprevista bellezza. Una pala d'altare dedicata al "Cristo seringueiro", un crocefisso con le mani grosse e con i piedi sformati dalla foresta. La trave a cui e' inchiodato e' incisa come per la raccolta del lattice di gomma. Lo sguardo sofferente e i colori forti impressi da questo sconosciuto pittore popolare, ricordano la forza e la disperazione dei crocefissi in cui Gruenewald raccontava al mondo la Guerra dei contadini tedeschi e le atrocita' commesse dai loro signori feudali.

La guerra dei seringueiros ancora non e' finita. Lo testimonia la tomba di Chico Mendez a pochi chilometri da qui, di nuovo sul lato brasiliano, nel piccolo cimitero di Xapuri'. Una foto, e un piccolo parallelepipedo di maiolica, circondato di piante rampicanti e dall'acqua dell'ultima pioggia, che regala alle tombe azzurri spicchi di cielo, tra i ciuffi d'erba e fiori di campo. A poche centinaia di metri, la vera eredita' lasciata alla sua gente: l'associazione e la cooperativa di produzione. E a qualche chilometro l'eredita' lasciata al mondo: la foresta amazzonica.



La comunita' che Chico Mendez ha lasciato dietro di se' ha fatto passi da gigante. Attorno ai seringueros e ai piccoli produttori agricoli, si sono create cooperative a Xapuri', a Brasileia ed Epitaciolandia. Si occupano della lavorazione della gomma, della noce brasiliana e fanno mobili in legno certificato FSC. In questo modo creano lavoro in loco, e ottengono prezzi piu' equi perche' scavalcano gli intermediari. Ma i tempi dei pistoleros non sono finiti, e Chico Mendez non e' stato l'ultimo a cadere. Ogni volta che si approssimano le elezioni, e le vecchie mafie si riorganizzano per riprendere in mano il governo dell'Acre, tornano le minacce di morte. Parole che escono fuori per caso, con semplicita', parlando fra familiari a una festa, tra piatti di pesce alla griglia e la forte birra boliviana, come se nessuno le prendesse sul serio. Perche' e' alla vita che bisogna pensare, ma al chiuso della propria casa, ognuno ha gia' fatto i conti con la propria famiglia...

Sulla via del ritorno verso Rio Branco, una lunga cortina di fumo si leva al cielo, dal confine della foresta. Un altro pezzo di Amazzonia che se ne va per sempre, per allargare i pascoli di qualche latifondista. E non lontano sfilano per chilometri lungo la strada, le proprieta' del fazendero che ordino' l'assassinio di Chico Mendez. Sono ancora li, a dirci che ancora non abbiamo passato il confine. Quello vero.

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