mercoledì 16 dicembre 2009

In nome della Regina

- Un lussureggiante ciuffo di palme si erge, offuscato appena dall'aria umida. Gocce di condensa si raggrumano sul terriccio. Penso alle piantagioni che in Indonesia divorano la foresta, liberando tonnellate di carbonio in atmosfera man mano che la torba viene drenata e si ossida. Sono lontane quelle piantagioni, ma qui vicino si decide il futuro di quelle foreste. Dietro dietro le palme , il bianco azzurrino di un vetro incrostato di neve: è qui, a Copenaghen, che si riunisce il vertice mondiale del clima.

Il palmizio non è che un'aiola della piscina comunale, temporaneamente adibita a centro rionioni del Clima Forum, il forum della gente e della società civile.

Associazioni ambientaliste, gruppi indigeni, fondazioni e centri culturali si riuniscono per parlare di clima con de cine di dibattiti e workshop in contemporanea. Un modo per coinvolgerli - o meglio per tenerli a distanza dal vertice vero e proprio, che si tiene al Bella Center, a diversi chilometri di distanza, protetto da numerose recinzioni. Un segnale in questo senso viene proprio dal Bella Center: migliaia di rappresentanti di asso citazioni già accreditate non vengono fatti entrare. Lo spazio delle strutture risulta essere inadeguato a un vertice ONU, a cui ormai da anni partecipano numerosi rappresentanti delle associazioni della società civile. Di 30.000 accreditati ne entrano solo 900, e per il giorno successivo si annuncia un numero chiuso di 90. Intanto delegati, parlamentari e perfino ministri gelano facendo la fila per cinque, otto, nove ore. Invano..

Gli esclusi si ritrovano al Clima Forum: "Abbiamo il diritto di entrare" sostengono. E lamentano la mancanza di trasparenza del vertice, dove i delegati fanno la notte a stilare su una bozza, mentre la mattina dopo la Presidenza presenta un documento completamente diverso, buttato giù nel corso di una trattativa privata. È così che si decide la manifestazione del giorno successivo si recherà al Balla Center e tenterà di entrare nel parcheggio, dove organizzerà un incontro con i delegati che vorranno uscire. Ma anche il parcheggio è off-limits, e la polizia ha già mostrato la mano pesante. Pochi giorni prima, la manifestazione è stata caricata per la presenza di un non ben specificato gruppo "sospetto". De cine di pacifici manifestanti sono stati costretti a restare cinque ore sdraiati per terra nel gelo, con le mani legate dietro la schiena. Successivamente la polizia ha assaltato con i lacrimogeni la conferenza tenuta da Naomi Klein al Cristiania. Agenti di polizia si sono fatto irruzione anche nella sauna annessa al centro, esigendo i documenti da anziani signori completamente nudi.
Anche il gruppo di manifestanti in bicicletta ha visto un'irruzione delle forze dell'ordine, che hanno sequestrato pericolosi strumenti dotati di ruote e pedali. La polizia sembra avere liste dettagliate degli organizzatori delle diverse associazioni, che arresta preventivamente, senza che abbiano commesso alcun reato. Il governo ha fatto arrivare delle gabbie modello Guantanamo, per quelli che chiama i "prigionieri del clima".

E il clima sembra davvero prigioniero di un vertice strozzato da interessi e veti incrociati. Intanto il messaggio è chiaro: nessuna voce diversa deve disturbare un manovratore troppo impegnato a distruggersi da solo.

Le palme sono rimaste al Clima Forum. È ancora buio alla stazione metro di Tåmby, il buio pastoso dell'inverno nordico, anche se sono le otto passate. Attorno al cono di luce di un fanale danza un mulinello di fiocchi di neve. Si imbiancano i cappucci, i fazzoletti, i colorati cappelli indigeni, sui volti scuri di gente che non ha mai visto la neve in vita sua, che non sapeva cos'è il freddo.

Frotte di giornalisti e fotografi sciamano attorno ai manifestanti come mosche al miele. chi si sofferma sui dread infiocchettati di un alto scandinavo, chi si butta a pesce su un pagliaccio malandato. Basta una bicicletta dalla forma originale a far guadagnare un minuto di celebrità. Guardo con un certo disgusto a quel carosello di interviste e scatti, ma chi è senza peccato s cagli la prima pietra. E del resto è così che funziona: se il folklore è l'unico mezzo per esistere, ben venga il folklore.

La manifestazione parte ordinatamente e si avvia verso un nulla silenzioso dei fiocchi di neve. Un cordone di manifestanti stringe i lati del corteo per evitare l'entrata o l'uscita dei soliti gruppetti fuori controllo, si tratti di manifestanti o di polizia in borghese. Il sistema funziona: non si vedono i fantomatici black blocker, non vola un sasso, nessun danno, nessuna violenza.
Ma all'arrivo c'è una brutta sorpresa: la strada è interrotta da un nuovo recinto di muro e ferro. Pochi mesi fa tutti i media del mondo commemoravano la caduta del muro di Berlino. Nessuno nota l'erezione di questo nuovo muro, fra tanti altri, che divide tra governanti e governati. E davanti al muro un recinto di giganti in armatura. chissà se li selezionano in base all'altezza come i corazzieri, o se si tratta di un esperimento genetico di razza superiore. Magari hanno solo le scarpe col tacco nascosto, come il premier italiano. Fatto sta che ci guardano dall'alto, somministrando manganellate e spray urticante. La manifestazione era autorizzata fino al Bella Center, ma a quanto pare non potrà arrivare fino all'entrata. I manifestanti sono disorientati. Provano a stringersi contro quella rete di ferro, ma vengono respinti con poca grazia. I fotografi entrano in visibilio. Meno male.

Dal Bella center gruppi di delegati provano a uscire per unirsi alla manifestazione, ma vengono anche loro respinti con violenza. Volano le prime bastonate, poi la polizia scatena i cani, che si avventano sui delegati. Sul corteo si stringe una morsa di blindati e polizia, che avanza progressivamente.
Dall'alto di un blindato un altoparlante recita in inglese: "In nome della Regina, dichiariamo questa manifestazione illegale. Lasciate questo luogo immediatamente e in modo pacifi co o sarete arrestati. In nome della Regina..."
Mi domando se è in nome della Regina che il summit di Copenaghen sta sprofondando nel nulla, se è in nome della Regina che il pianeta si avvierà a friggere come una patatina.


In nome della Regina. I blindati avanzano sui manifestanti come un rullo compressore. Alcuni ragazzi legano una fila di biciclette, sperando di fermarli, almeno simbolicamente. L'ammasso di ferri contorti viene trascinato via.
Mi volto e vedo che un blindato sta avanzando sul lato, tagliando in due i manifestanti. Diamine: stanno circondando migliaia di persone, chiudendo la strada sui due lati. Ma che strategia è questa? Imbottigliare migliaia di persone senza lasciare loro una via di uscita, significa tenerle compatte e spaventate, significa istigare reazioni violente. che senso ha? L'aria sa di spray urticante. In lontananza sento il ringhiare dei cani. Ma chi diavolo è questa perfida Regina?

Il blindato avanza verso l'ultimo punto di strada libera. È una follia, bisogna impedirlo. Vorrei chiamare qualcuno, e provo anche a lanciare qual che grido, ma sono tutti occupati a difendere il camion dei manifestanti, che è stato espugnato dai gendarmi. c'è solo una cosa da fare: allargo le braccia e mi metto davanti al blindato. chissà, forse è proprio quello che lanciava proclami in nome della Regina.

Il blindato spinge, ma mi aggrappo alla grata, e quello si ferma. È stato facile, pure troppo. Penso che se uno o due di questi giganti escono, mi portano via in un secondo e manco se ne accorge nessuno. Per fortuna restano dentro il blindato, forse lo ritengono più sicuro, forse anche loro stanno chiamando i loro colleghi. come io vorrei altri manifestanti venire al mio misero blindato. Ma nessuno di loro sembra notarmi. Provo a chiamare, ma c'e' troppa confusione, nessuno mi sente, nessuno mi vede. Anzi, no, mi vedono i fotografi. In un attimo me ne trovo attorno una decina. La cosa mi imbarazza, vorrei digli di chiamare qualcuno invece che farmi fare la figura dell'esibizionista, ma so che non avrebbe senso. Appena si distraggono un attimo, sguscio via senza dare nell'occhio, magari riesco pure a chiamare un po' di gente. Ma come mi sposto il blindato riprende subito ad avanzare. Guardo il blindato, e penso: torno. Guardo i fotografi, e penso: no, manco morto, ora tocca a qualcun'altro. Però quel blindato avanza e avanza ancora. Ho perso. Rialzo le braccia e mi rimetto là davanti. I fotografi tornano come pesciolini attorno al mangime. Ora sono tutti li, inginocchiati di fronte, mentre me ne sto aggrappato al blindato, crocifisso alla stupidità mediatica. E probabilmente anche alla mia.

Fino a quano da sinistra avanza un'altro blindato. Non ne posso fermarne due allo stesso tempo. Contemporaneamente il muro di biciclette, tutto accartocciato, viene spinto di lato, la folla si sposta e posso andarmene. Abbandono senza rimpianti il mio blindato, e scompaio.

lunedì 14 settembre 2009

E' morto il dio della foresta?


I larici si arrampicano sul ciglio della montagna. I loro aghi soffici sono accesi dal sole al tramonto, e rilucono come ricami luminescanti, lievemente dorati sul verde scuro dell'erica.
Poco più sotto il lago brilla del suo azzurro più intenso. Sulle sue rive dorme Sills Maria, quieto villaggio semiesclusivo per professionisti annoiati.
I pini cembri, che contendono il suolo ai larici, palmo a palmo, profumano l'aria di balsamo. Più che una foresta, è una sottile striscia di bosco, che si snoda tra la valle, già a quota milleottocento, ai prati di apleggio sopra i duemila metri sul livello del mare. Eppure questo sottile e civilizzatissimo bosco, imbrigliato in una fittissime rete di sentieri, si trasformava in immense foreste incontaminate nella fantasia dei turisti ottocenteschi. Foreste impervie e buie, estese per valli e monti, popolate da belve feroci e bizzarri eremiti. Tra questi turisti, Friedrich Nietzsche, che nel suo vagare inquieto tra boschetti rocciosi, sistematizzava il suo Zarathustra.
Passeggiando sul morbido suolo del bosco, Nietzsche immagina di essere Zarathustra che discende dai monti dopo anni di eremitaggio, e si imbatte in un vecchio santo, che vive tra i boschi componendo inni a Dio. L'eremita lo sconsiglia dal lasciare la natura incontaminata e tornare nella città. "Non recarti tra gli uomini! Rimani nella foresta! Va' piuttosto tra gli animali! Perché non vuoi tu essere come me, orso tra gli orsi, uccello tra gli uccelli?" Il Nietzsche-Zarathustra non segue il consiglio del vecchio eremita, per un motivo preciso: "è mai possibile? - si domanda - questo vecchio santo nella sua foresta non sa ancora che Dio è morto."
Il mondo è ora incerto. Dio è morto, e la foresta non è più un rifugio dalla furia degli uomini. Non è più luogo di ritorno alla purezza originaria. La foresta sarà presto sbancata per fare posto a villette in cemento, o per produrre carta su cui stampare pubblicità - Gli uomini e la foresta condividono oramai lo stesso futuro di incertezza. Il destino dell'uomo non origina più dai riti ancestrali della foresta. E' il destino della foresta ad essere appeso al filo della produzione di massa. Nessuno potra più essere orso tra gli orsi, uccello tra gli uccelli.

mercoledì 5 agosto 2009

Rugiada



Una radura nel bosco. Erba verde, ancora giovane e umida di rugiada, nell'aria calda dell'estate. Un'ape ronza a distanza, assieme a qualche mosca. Un lieve stormire di foglie, su tra i faggi, e un silenzio avvolgente, come il sole che brilla sugli steli. Ma qualcos'altro brilla. È un pullulare di lucine. Rosse, gialle, turchesi, rosa. Si accendono e si spengono al minimo movimento, basta spostare la testa di qualche centimetro. Come le luci di una minuscola città di notte. Ma è giorno pieno.
Me ne resto affascinato a guardare questi fuochi artificiali in miniatura, catturato dai colori splendenti e sempre diversi, affascinato come un bambino. Ed è proprio da bambino questo spettacolo. Ha tutto il sapore della meraviglia per quell'evento di sogno che era l'albero di natale. O per la scoperta delle luci, dei disegni e degli strani animali del bosco, fatta quando ancora si dovevano portare i pantaloni corti e le ginocchia erano sempre sbucciate.
Me ne resto lì incantato, a guardare quei puntini che si accendono e spengono.



Non è che acqua. Stupide gocce d'acqua, vapore condensatosi al freddo della notte e poggiatosi sulla prima superficie a disposizione. Eppure quanta magia che c'è in questa cosa stupida. Ci sono i broccati di argentea filigrana intarsiati dalle gocce cristalline sulle tele di ragno. Ci sono le perle di luna, poggiate dalle fate, una a una, sulle foglie di alchemilla, le cui proprietà curative sono famose per i raffreddori. Del resto, cosa aspettarsi dall'erba degli alchimisti?

sabato 23 maggio 2009

Faggeta notturna


Un vento leggero porta profumo di terra. Un cerchio di ombre attorno a un lume. Le loro voci coperte dai rumori del bosco. Sul suolo di foglie secche, un cerchio di sagome mostruosamente distorte, si estendono fino a confondersi con l’oscurità circostante. Come colonne grigiastre, i tronchi dei faggi svettano scomparendo nel nulla opaco del cielo. La foresta non è diversa dal tempio in cui i druidi celti invocavano le divinità silvestri, fino a quando le ordinate legioni romane non hanno fatto piazza pulita dei druidi e dei loro alberi sacri.
La luce si riflette su strati di foglie, che uno sull’altro, ramo su ramo. Cielo su cielo, come un caleidoscopio di universi sovrapposti.
Gli alberi tacciono. Gli alberi non camminano, non pensano, non parlano. Ma la foresta vive di loro: animali camminano, pensano, alcuni parlano, e tutti lavorano per gli alberi. Diffondono semi, spargono pollini, e ricevono in cambio cibo, riparo, acqua, ossigeno. Gli alberi, nel loro silenzio apparentemente ozioso, orchestrano i diversi strati di vita, la rete di nicchie ecologiche che pullula fra le radici e le fronde. Singoli alberi che ospitano centinaia, a volte migliaia di specie animali, un intero zoo in pochi metri, senza gabbie e senza sbarre. È un governo illuminato, forse perché non pensante, ma è sotto le sue leggi che gli umani hanno imparato il pensiero razionale, quello che nel giro di pochi millenni – in attimo – li ha portati rimuovere tutti gli alberi sul cammino della civiltà industriale.

lunedì 16 febbraio 2009

Inverno


La neve scricchiola sotto lo scarpone, un sussurrio sottile che si fonde al frusciare di un ramo, al gocciolare gelato da un sasso. Ogni tanto il tonfo che libera un ramo dall’eccesso di neve, ogni tanto lo schianto di un ramo che non ce l’ha fatta. E il volo silenzioso di due nibbi reali, fotografati immobili nell’aria gelata.
Sapore di neve sul palato, odore di vento e resina gelata- La foresta è un ammasso di acqua cristallizzata e carbonio vivo, che pulsa lentamente sotto la scorza di freddo.
Unica cosa viva, un corvo si alliscia le penne, dall’alto di un albero secco. Ma sotto di lui cento occhi scrutano silenziosi le ombre di luce sotto il manto bianco. L’inverno sarà duro, come ogni inverno che viene, e un intero popolo di zampe, code e piccoli occhi neri si domanda se vedrà un’altra primavera.
L’inverno è un nemico terribile, per chi lo vive, ma è indulgente. L’inverno uccide, ma non stermina. La foresta tornerà a fiorire. L’inverno non è fuoco, non è cemento, non è bulldozer, e nemmeno pioggia acida. L’inverno è vento che scema, neve che si scioglie al sole di marzo. L’inverno è un respiro nella foresta.
La foresta si illumina all’improvviso di un sole sfolgorante. Un abbaglio di tramonto prima che torni il sonno gelato della notte.
Fuori, la morsa di cemento avanza, metro per metro. Senza fermarsi.