domenica 28 maggio 2006

L'ora dell'addio

Lago Munray, 28 maggio 2006. Un uomo barbuto, con l'aspetto un po' ottocentesco di un brigante, siede sull'erba presso la riva del lego, riempiendo formulari. E' il check-in dell'aeroporto Lago Munray - Boboa Station. Senza troppe formalita', sono tutti pronti all'imbarco.

L'ultimo addio e' il piu' duro. Questo in questi occhi scuri, questa facce barbute, segnate dal sole e dall'acqua, e mi domando se le rivedro' mai piu'. Sembra impossibile andarsene cosi', dopo aver condiviso tutto, il cibo, il sudore, le zanzare, per tornarsene alla propria vita 'normale', confortevole, rassicurante, ricca, vuota. So che ogni promessa di tornare potrebbe essere una colpevole bugia. Preferisco tacere.

Vorrei raccontare loro quello che provo, ringraziarli per quello che mi hanno insegnato, in questo breve tempo, semplicemente, con naturalezza. La vita nella foresta, a cominciare dai piccoli gesti quotidiani del sopravvivere. E poi la resistenza e la determinazione, il lavoro di squadra e la condivisione, i valori di vita. Vorrei ringraziarli per avermi mostrato che anche con cosi' pochi mezzi - praticamente con niente - e' possibile progettare e mettere in pratica un modo alternativo di sviluppo, su cui tante think-tanks milionarie in giro per il mondo dibattono da decenni senza approdare a nulla. Ma le mie parole sono troppo povere. Una stretta di mano, un abbraccio e solo il silenzio e' in grado di esprimere cosa sto provando.

L'aereo arriva, traballando sulla pista di erba, e solleva spruzzi di fango iridescente. Una folla si e' riunita lungo i bordi della pista, in prevalenza donne e bambini. Ci guardano in silenzio mentre issiamo a bordo i nostri sguardi persi, e continuano a fissarci attraverso gli oblo', fino a quando le eliche ci trascinano via. E' un saluto silenzioso, difficile da dimenticare. La profondita' di questo silenzio terribile copre il frastuono dei motori, come se l'aereo non fosse mai partito, come fosse ancora saldamente ancorato al suolo. E sento che qualcosa di me e' rimasto laggiu', sotto il cielo infinito del Lago Murray.

sabato 27 maggio 2006

Stasera c'e' festa


Lago Munray, 27 maggio 2006. C'e' un mare di gente oggi alla stazione forestale. Un intero clan si e' accampato qui attorno. Su quattro - cinque fuochi pendono pentoloni dove manioca e banane ribollono nel latte di cocco. Ciambelle artigianali che friggono allegramente nell'olio, donne che rimestano, torme di bambini che schiamazzano correndo. E' la festa dell'addio e del ringraziamento. Stasera ci sara' da mangiare per tutti, ci saranno i discorsi, gli addii, i canti e i propositi per nuovi progetti.

Guardo questa gente che e' venuta qui per condividere il cibo e la festa. Oltre la riva arrivano nuove canoe, lanciando grida che sembrano di guerra, ma sono in realta' sono saluti festosi. Oscillando sul pelo dell'acqua, portano cesti e nuove pentole.
Una pioggia sottile attraversa i raggi di un sole quasi al tramonto, e un'incredibile arcobaleno appare sul lago, scendendo proprio sopra le canoe. Racconto a Kafuri, un amico del clan del Pesce Gatto, una antica leggenda europea. I nostri antenati raccontano che alla fine dell'arcobaleno si trovi nascosto un tesoro. Il nostro tesoro e' qui, che oscilla sul pelo dell'acqua.

venerdì 26 maggio 2006

Frontiere

Lago Munray, 26 maggio 2006. Una strada polverosa, sotto il sole. Una strada lunga, diretta verso futuri possibili, oltre le nuvole basse. Via dai giorni uguali del villaggio, dalle mattine di noia, dalle sere di oscurita' forzata. Verso la scuola, verso citta', verso un futuro di consapevolezza, forse di benessere. Ogni passo nella polvere un sogno oltre la frontiera: professionista, manager, o forse leader nazionale? Inventore o businessman, per dispensare il bene alla nazione, o quanto meno di mantenere la gente rimasta giu' al villaggio.
La strada e' un sogno, la frontiera e' sfuggente, e come un miraggio si sposta in avanti appena si crede di averla raggiunta. Non e' facile studiare per un ragazzo di villaggio, da solo contro il mondo. Ma anche se arrivi col massimo dei voti, scoprirai che non c'e' posto per te in un mondo in cui gli amici degli amici si sono gia' spartiti le sedie. La frontiera sembra un gioco sleale.

Nel villaggio si chiedono come mai Sep, il ragazzo che hanno mandato a studiare, non manda soldi. Perche' si tiene tutto per se'? Nel villaggio non accettano tradimenti. E allora un impiego qualunque, purchessia. Un formulario riempito frettolosamente, e la frontiera finisce in uno scalcinato commissariato di polizia. Intonaco scrostato, sangue e scritte sui muri. L'agente Sep e' di pattuglia nella citta' dei banditi. L'agente Sep pattuglia e studia, per quindici anni. Diritto penale e procedura civile, codice forestale, diritto privato.
Quindici anni di notti maledette e giorni infami, e l'investigatore Sep sale brillantemente i gradini della scalinata. Ma le investigazioni portano ad un vicolo cieco, agli amici degli amici, strade chiuse e banconote spiegazzate passate di mano in mano. Era questa la frontiera?

Una strada polverosa sotto il sole. E' piu' larga questa volta, la strada. Troppo larga, e troppo polverosa. Ruspe arrancano su diverse corsie. Camion carichi di tronchi sfrecciano avvolti in un turbinoso mantello di povere. Ingegneri malesi indicano un punto verso l'orizzonte, e squadre di mezzi pesanti partono squarciando la foresta in un caos di frastuono e metallo. La via del ritorno e' un'autostrada dell'inferno.

Al villaggio e' la miseria di sempre. L'oro rosso dei tronchi se ne va all'estero, tra le capanne resta celata la violenza. Donne incinte, uomini battuti. Hanno chiesto che i bulldozer se ne andassero, e invece e' arrivata la polizia. Nuove violenze, nuove umiliazioni.

L'investigatore Sep sente un malessere profondo. Non e' piu' fiero della divisa, quando gira per il villaggio. Sguardi obliqui che lo feriscono.

E allora l'investigatore Sep inizia una nuova investigazione, per conto suo stavolta. E scopre che la strada Kiunga-Aiambak non e' una strada, anche se e' larga come un'autostrada. Una impresa, chiamata Concord Pacific, ha ottenuto la concessione di costruzione per una strada che non porta da nessuna parte: lavori di interesse nazionale. Nel protocollo di contratto c'e' il diritto di prelevare legname per 40 metri su ambo i lati della strada, per i lavori di costruzione. I bulldozer invece si spingono fino a 15 chilometri in cerca di tronchi. La strada stessa si snoda come un gigantesco serpente, tornanti su terreno pianeggiante, in cerca di del legno migliore.
L'investigatore Sep ha studiato legge, conosce a menadito il codice forestale.

L'ex investigatore Sep ha denunciato i colleghi per corruzione, subito prima di firmare una lettera di dimissioni. Ora i tronchi non corrono via sui camion. Giacciono sulla strada, circondati dalla gente dei clan.
E inizia una guerra nuova nelle terre del Lago Murray. Non volano frecce ma ingiunzioni, denunce, memoriali. Avvociati si muovono dall'Australia, giornalisti dagli Stati Uniti. Greenpeace taglia i mercati del pirata malese in una ventina di paesi. Il villaggio dell'ex investigatore Sep e' diventato il centro del mondo.

Due anni dopo, la Concord Pacific ha perso il processo, la strada e la foresta sono abbandonate. L'ex investigatore Sep non ha piu' abbandonato il villaggio. Non porta piu' le scarpe ne' la camicia, non usa la fondina della pistola. Non lo distingueresti dagli altri se non per uno sguardo tutto suo.
Nel frattempo ha unito tribu' un tempo nemiche, ha convinto a lavorare assieme clan diversi, ha messo insieme il gruppo di forestali che gestisce il progetto di ecoforestry. La sua gente sta demarcando le terre assieme a Greenpeace, e forse tra un anno o due nuove regioni seguiranno l'esempio, nuove multinazionali dovranno abbandonare il campo di devastazione.

La strada e' sempre la', polverosa sotto il sole, e non porta da nessuna parte. Sep la frontiera l'ha inventata dietro la porta della sua capanna.

giovedì 25 maggio 2006

L'inaugurazione di una nuova canoa



Lago Munray, 25 maggio 2006. A qualche decina di metri dalla riva, del lago, la canoa ci aspetta quasi pronta. Sembra prendere forma dall'albero che giace al suolo come un torsolo di mela. Accuratamente scavato all'interno, e modellato alle estremita', il tronco e' ancora coperto dalla corteccia, che sara' rimossa solo all'ultimo momento, affinche' la superficie viscida del legno appena scortecciato faciliti il trascinamento della canoa verso l'acqua. Perche' la canoa, che sul lago appare cosi' leggera e versatile, a terra e' pesantissima. Per costruirne una non basta trovare un albero della specie giusta, abbastanza largo, alto e dritto: questo deve trovarsi vicino alla riva, altrimenti il trasporto sara' impossibile. Quando le compagnie del legno arrivano e portano via tutti gli alberi di una certa dimensione - e anche loro preferiscono quelli presso la riva, dove il trasporto e' piu' facile - per la gente diventa impossibile costruirsi una canoa. E la canoa qui e' tutto. E' l'unico modo per muoversi da una parte all'altra del lago. Tutti usano la canoa, i vecchi e i bambini. Serve per pescare, per andare a caccia, per andare al mercato. La canoa e' vita.

Dopo gli ultimi lavori, la canoa viene faticosamente ribaltata e scortecciata. Quindi viene fatta rotolare di nuiovo su un tappeto di pali affinche' possa scorrere verso la riva. Con liane e cortecce viene saldamente imbragata, e a questo punto inizia il difficile: bisogna portarla in acqua.
Tutti afferriamo la grossa liana verde e uno, due tre, iniziamo a tirare. La canoa non si muove. Ancora. La canoa inizia a scricchiolare. Mi domando se a sera avremo finito, ma la canoa ora inizia amuoversi. Prima lentamente, poi sempre piu' veloci, poi velocissima. E sono grida di gioia, e ci sentiamo vicini, una cosa sola. Nel frattempo e' la canoa che, imboccato il pendio e rotolando sui pali, ci corre appresso come un missile lanciato verso il lago.

Ci buttiamo di lato per non farci travolgere, e solo allora mi accorgo dei due uomini bianchi in piedi sulla canoa. Il corpo dipinto di argilla chiara e in testa il copricapo cerimoniale in piume di Casawari. Sono le new-entry del clan. Hanno sposato una ragazza del clan del Pesce Gatto e si sono trasferiti dal proprio villaggio. Una tradizione del clan vuole che siano 'iniziati' con il primo viaggio di una nuova canoa. Non e' un viaggio confortevole, su una canoa lanciata a velocita' infilandosi tra i rami della foresta. Ma e' breve e finisce nel tuffo finale.

mercoledì 24 maggio 2006

Il vecchio e l'albero


Lago Munray, 24 maggio 2006. Oggi e' un giono di sentimenti contrastanti. Il progetto di ecoforestry vede il suo primo vero inizio qui, presso il villaggio di Awekam, sul lago Munray, provincia occidentale della Papua Nuova Guinea.

Questa parte di foresta presso il villaggio, gia' demarcata alcune settimane fa, e' stata destinata all'ecoforestry. I blocchi di taglio sono stati accuratamente delimitati, ed e' stato completato l'inventario forestale. Tutti gli alberi sono stati marcati e registrati.
opo un chilometro di cammino nella foresta arriviamo all'albero che sara' abbattuto. E' una grande pianta di rosewood (Pterocarpa)che si erge possente verso il cielo, carico di felci e liane. Vedo le foglie scintillare al sole e le liane pendere disegnando strane figure nell'aria, e mi domando se sia un sacrificio necessario.

Di fronte all'albero, su un fresco tappeto di foglie di palma, siede a gambe incrociate l'anziano del villaggio. Un uomo ossuto, dalla lunga barba grigia, indossa quel che resta di un paio di pantaloncini. Guarda l'albero in silenzio, con sguardo profondo.
Uno di fronte all'altro, i due vecchi della foresta, l'uomo e l'albero, e il loro silenzio sembra congelare per un istante l'intera foresta.
Poi il vecchio parla. Si rivolge agli spiriti della foresta per spiegargli cosa sta succedendo, e chieder loro il permesso di abbattere l'albero. "La nostra gente ha sempre rispettato la foresta. Ora abbiamo bisogno di questo albero, e di altri in futuro. Ma ci impegnamo a piantare dieci alberi al suo posto e ad averne cura, e ad avere cura di tutta la foresta. Questo e' il trattato che vi proponiamo, e che ci impegnamo a rispettare, qui di fornte a tutti."

Solo quando il vecchio tace, la vita sembra riprendere. Voci umane e canti di uccelli e grilli tornano a riempire l'aria, prima di essere soverchiati dal rumore della motosega.

L'albero cade al suolo con uno schianto che fa tremare la terra, seguito da una magica pioggia di foglie. C'e' qualcosa di triste ma anche di solenne nell'aria. Questo e' il primo albero il cui legname sara' venduto dal clan sul mercato internazionale, saltando tutte le intermediazioni. Pochi alberi basteranno ad assicurare i servizi esenziali, l'educazione e la sanita', la gente qui non chiede di piu'. Non ci sara' piu' spazio qui per operazioni su vasta scala, per distruzioni massicce, per il taglio a raso come nella vicina strada aperta dale compagnie malesi. Se il progetto fuunziona e si diffonde, anche le altre comunita' vorranno seguirne il modello, in aree dove le multinazionali malesi del legno gia' avanzano minacciose, lasciando diestro di se' il consueto carico di distruzione.

Questo albero mostra che un altro modello di sviluppo e' possibile. Rispettoso della foresta e della sua gente. Forese davvero qui, oggi, un albero abbattuto puo' salvare la foresta.

martedì 23 maggio 2006

La mappa del tesoro

Lago Munray, 23 maggio 2006. Brian mostra una carta disegnata a mano. Sembra proprio una mappa del tesoro, ma invece che di forzieri e' piena di foglie. Riprende infatti il disegno creato al suolo dalla gente del clan del Pescegatto. Linee di foglie allineate sulla carta indicano in confini interni: il clan ha deciso di destinare una parte della propia foresta alla protezione, un'altra parte al prelievo di tronchi, una parte ancora alla caccia, alla pesca e alla raccolta del sago, una polpa di certe palme ricca di amidi, essenziale alla dieta della comunita'. Foglie gialle, rosse e verdi formicolano sul foglio indicando i diversi usi, e il futuro di una foresta destinata a durare.
Domani mattina si parte per la demarcazione: alcuni gironi di marcia nella foresta, lungo i viaggi degli antenati.

lunedì 22 maggio 2006

Terre ancestrali


Lago Munray, 22 maggio 2006. Sulla bacheca del Tok-tok corner campeggia una grande carta del lago Munray. Brian, che presiede l'associazione forestale delle comunita' del lago Munray, indica le foreste attorno al lago, mostra dove le compagnie gia' operano, dove si stanno dirigendo, e indica le foreste gia' demarcate o in via di demarcazione.

La demarcazione non e' un processo semplice. Coinvolge tutto il clan, e si basa sulla memoria e sul consenso. Nel grande spiazzo del villaggio, vengono definiti i confini dell'intera tribu' con una lunga corda. Quindi ogni capo clan con una bacchetta indica i confini del proprio clan, segnandone con delle foglie le localita' di particolare significato nella storia orale tramandata dagli antenati. Nessuno ha facolta' di parola, perche' il tempo della memoria e' un tempo dilatato. Una volta arrivato a segnare i confini con il proprio vicino, passa la bacchetta al relativo capo clan. Sta a qesti andare avanti. Tutti assistono, ed a questo punto chiunque ha il diritto di avanzare critiche, e le eventuali contestazioni vengono risolte in piena trasparenza, di fronte a tutti, verificando i reciproci racconti degli antenati.

Solo a questo punto le squadre miste di forestali, gente del clan e volontari si recano in foresta, dove demarcano i confini delle terre tradizionali con vernice, e nastri e prendendo le coordinate geografiche con il sistema satellitare GPS per poterle riportare su carte digitali ad alta precisione. Queste utlime serviranno per la registrazione ufficiale delle terre.

Ma non e' finita qui. A questo punto inizia la parte piu' importante del progetto. Una volta demarcata la foresta, i clan decidono l'uso che ne faranno. Perche' l'unico modo per sbarrare la strada alla distruzione e' usare la propria foresta in modo autogestito. Contrariamente a qullo che si dice, le grandi compagnie multinazionali del legname non portano sviluppo. Ma i clan tribali ora hanno capito che gestendo la foresta in proprio, possono preservare la loro foresta e al tempo stesso avere i servizi essenziali e delle entrate per assicurarsi uno sviluppo bilanciati, di sicuro molto di piu' di quanto otterrebbero svendendo la propria foresta alle multinazioanli. E senza perdere la foresta.

domenica 21 maggio 2006

Stazione Forestale



Lago Munray, 21 maggio 2006. Arriviamo al campo dopo pranzo, all'ora del riposo. Cinque canoe intagliate nei tronchi scivolano silenziose sul lago, poi all'improvviso iniziano a rincorrersi, scontrarsi, mentre i ragazzi che le occupano ridono, si schizzano acqua, si tuffano. In maggioranza parlano l'inglese dall'accento Pidgin della Papua Nuuova Guinea. Ma gli accenti vanno dal malese, al tailandese, al cinese, all'inglese canadese e australiano.

Intorno a loro la foresta, e un filo di fumo che si leva dalle capanne del campo, e il canto di uccelli sconosciuti. Sembra davvero il paradiso, ed e' difficile pensare che potrebbe diventae un inferno di fango e rifiuti, come e' gia' accaduto in molte parti dell'Asia.

L'Isola di Nuova Guinea ospita da sola la terza foresta tropicale del pianeta. Un tempo non era cosi'. Le foreste si estendevano dal Sud-est Asiatico fino a Giava, Sumatra, al Borneo. Ora non piu'. In queste regioni non restano che frammenti di foresta, a cui non vengono dati che pochi decenni di sopravvivenza. Le grandi imprese malesi del legname, una volta esaurite le proprie foreste, hanno iniziato la corsa alle foreste della Nuova Guinea, ed in effetti gran parte di esse sono gia' state assegnate come concessioni.Proprio qui, attorno al Lago Murray, Greenpeace e' riuscita a fermare la distruzione avviata dalla Concord Pacific. E proprio da qui sta partendo un progetto innovativo per fermare la devastazione, dando alle comunita' tradizionali il potere di proteggere le proprie foreste.

E' nato cosi' il progetto di demarcazione ed ecoforestry, per cui tanti volontari sono venuti qui da tutto il mondo.Le canoe tornano lentamente verso la riva. Sta per iniziare il briefing.

sabato 20 maggio 2006

Papua Nuova Guinea



Port Moresby, 20 maggio 2006. La prima immagine della foresta appare dal cielo, dall'oblo' di uno scalcagnato aereo che gracchia sotto il pelo delle nuvole. Isole di alberi verde scuro circondate dal verde brillante delle erbe di palude, che circondano piccole bolle di acqua da cui si irradiano arabeschi rosso ruggine. Poco piu' in la' l'oceano verde scuro della foresta, che degrada lentamente in azzurro verso l'orizzonte.
L'aereo segue la linea tortuosa del fiume Fly, spostandosi poi piu' a est fino a quando il lago Murray si apre sotto di noi in tutta la sua ampiezza.

L'aereo scende con cautela cercando a vista la pista di atterraggio attraverso un banco di nuvole improvvidamente materializzatosi, quindi atterra saltellando sul capo erboso, sollevando grandi spruzzi di acqua alle pozzanghere.

La foresta e l'acqua continuano ad accompagnarci nel viaggio lungo il lago fino al campo base. Alberi giganteschi emergono dall'acqua come per incanto, specchiandosi in un doppio sull'acqua immobile del lago. Un cielo immenso, esteso su cinque sei strati successivi di orizzonte, si moltiplica in tutta la sua estensione sopra il riflesso degli alberi. Sembra di navigare sospesi in un immenso cielo, appena circondato da un anello verde di foreste.