giovedì 30 agosto 2007

Palude della desolazione



Palude della desolazione, 30 agosto. Un campo di stoppie bruciate non e' la piu' allegra delle immagini. La puzza di bruciato, gli steli sporchi di carbone, la polvere. Ma una foresta palustre bruciata e' un'immagine incomparabilmente orribile.
Una distesa di nero fango putrescente e cenere, da cui affiorano come ossa scarnificate, brandelli di tronchi e rami bruciacchiati, in parte ancora neri dal fuoco, in parte sbiancati dal sole e dalle piogge. Un inferno esteso per chilometri fino all'orizzonte, dove ancora resiste compatta la muraglia della foresta, un nastro azzurro da cui affiora il suono delle motoseghe in azione.

Camminare in questo pantano e' complicato. I piedi affondano in una mota soffice e senza fondo, ma abbastanza elastica da richiudertisi sui sandali e succhiarteli nei suoi recessi profondi. L'unico modo e' cercar di camminare in equilibrio suiu rametti affioranti o sui tronchi abbattuti. Perfino dove e' secco, il fuoco ha bruciato la torba sotto la superficie, scavando voragini che fanno cedere il terreno come una sottile crosta di pasta frolla. E' un marciare lento e incespicante su un terreno che non sai se c'e' o e' pura immagine.

L'aria attorno e' silenziosa, Non ci sono uccelli, ne' rane, ne' grilli, non c'e' il frastuono della foresta. C'e' silenzio. Di lontano arriva il richiamo di un predatore, ma non ci sono piu' predi qui attorno. E se ne vola via.

Il ciclo della vita si e' spezzato, anzi e' sprofondato nella palude e succhiato via con l'acqua che i canali drenano costantemente dalla torbiera per prosciugarla.Via l'acqua, via la vita. E si fa spazio al fuoco.
E' un fuoco che non si puo' spegnere, che marcia invisibile, sbucando all'improvviso contro il cielo. E quando lo vedi e' troppo tardi. Tonnellate di torba bruciano sottotraccia, passando perfino al di sotto dei canali di drenaggio, scavano gallerie incontrollate che si estendono per chilometri e chilometri, per poi riemergere all'improvviso in un macabro festino di tronchi e ceppaie in fiamme. Tigri, elefanti, oranghi, e le migliaia di specie animali e vegetali cedono il posto all'ordinata schiera di palme da olio, fino a quando l'ultimo albero sara' abbattuto, l'ultima foresta trasformata in un silenzioso inferno.

In lontananza, offuscati dalla polvere, alcuni automezzi arancioni dragano il fondo del canale di drenaggio. Sull'acqua di torba, nera come caffe', ondeggiano lente file di tronchi uniti tra loro da assicelle inchiodate. Serviranno a tirar via questo triste treno, destinato al mercato internazionale del meranti e del ramino.

Come in un triste presagio, quando torniamo all'approdo troviamo la barca inclinata sul fianco. La marea e' calata e il fiume ha ripreso a scorrere verso la foce. Bisogna aspettare sotto il sole che l'acqua risalga, senza neppure il sollievo di un bagno nel fiume: in questo punto i coccodrilli pare che scorrazzino a schiere. E allora pazienza. E sottomissione alla dittatura dei cicli naturali, fino quando non saranno estirpati una volta per tutte dalla faccia della terra. Ma quello, per quanto vicino, e' ancora un altro giorno. E un brandello di futuro e' ancora nelle nostre mani.

giovedì 23 agosto 2007

Pekanbaru


Pekanbaru, capitale di Riau (Provincia orientale di Sumatra), 23 agosto. I cartelli ai bordi delle strade anninciano al mondo una nuova era. Il Governatore della provincia e' raffigurato in posa statuaria assieme al Presidente della Repubblica, sorridente davanti a sterminate piantagioni di palma da olio. E' l'ideologia della nuova frontiera, la nuova corsa all'oro e' iniziata, avventurieri e disperati accorrono per raccogliere denaro contante e speranze nate morte. Giganteschi alberghi di lusso costeggiano le strade. Sfoggiano marmi e cristalli, ma l'acqua non esce dai rubinetti, e i tappeti, appena messi, cominciano già marcire. Questa volta pero' la foresta non riuscira' a prendersi la sua rivincita, occupando di nuovo gli spazi sottrattigli. Semplicemente perche' qui, ormai, la foresta non c'e' piu'. E' stata ormai sradicata da tempo. Pekambaru e' solo una tappa, e l'epicentro della nuova corsa, ma la frontiera si e' ormai spostata lontano. E piu' che una frontiera e' un piccolo arcipelago di isolette circondate dalle ruspe. E la marcia continua. "The Golden Crop" reclamizza la televisione di stato, il raccolto d'oro. Ma e' oro di cattiva fusione, fatto di carbonio che se ne va per l'atmosfera. Infatti l'espansione delle piantagioni ha un target ben preciso: le terre non "produttive". Ossia, le foreste palustri.

Peccato che queste foreste, oltre ad ospitare una biodiversita' unica, covano una ricchezza immensa per il pianeta: la torba. Per millenni il materiale organico delle foreste palustri si e' accumulato sul suolo, creando uno strato di torba che va dai due ai venti metri e piu'. E' di uno dei piu' grandi serbatoi di carbonio del pianeta. Circa 550 miliardi di tonnellate di carbonio sono sequestrate nelle torbiere di tutto il mondo, circa il 75% di tutto il carbonio presente nell'atmosfera, o l'equivalente delle emissioni globali di carbonio in circa 70 anni. La torba e' zuppa di acqua. ma quando viene bruciata o seccata, viene a contatto con l'ossigeno e si decompone, a rilasciando carbonio in atmosfera. E danni saranno altri a pagarli. Dei 27,1 milioni di ettari di foreste palustri del Sud-est asiatico, 12 milioni sono già stati deforestati e in gran parte drenati. Un terzo delle torbiere si trova nei tropici, e di questo il 60% si trova proprio in Indonesia: 22,5 milioni di ettari di torbiere, ma il volto sorridente del Governatore non lascia dubbi: l'assalto e' gia' cominciato.

lunedì 13 agosto 2007

Piantagioni sterminate

Kuala Lampur, 13 agosto. Poco prima di atterrare all'aeroporto di Kuola Lampur dove l'aereo fa scalo, un'eneorme impianto industriale scorre sotto il veicolo. Ha tutta l'apparenza di una raffineria, ma senza i segni che in gerenere accompagnano queste strutture: i fuochi che in cima ai pinnacoli delle ciminiere, il fumo nero, i segni inconfondibili che il petrolio lascia attorno a se'. No, qui si raffina altro, e la risposta e' distesa tutta attorno: palme da olio. Un'unica distesa per chilometri e chilometri, si estende fino a perdersi nell'azzurro dell'orizzonte. Come un pattern riprodotto da un computer, quadrati di pixel verdi tutti uguali e se stessi si riproducono uno in fila al''altro, come soldatini di un esercito digitale , divisi da strade e canali accuratamente regolari, come un infinito gioco di specchi dominato da un supremo ordine di perfezionismo.

Non so, non posso sapere cosa c'era qui un tempo. Foresta pluviale di pianura? Foresta palustre? Torbiere?
Ma non so neppure cosa c'e' adesso, questo nulla verde riprodotto all'infinito, e in continua, progressiva espansione. Una espansione che continuera' fino a quando ci sara' terra da erodere, foreste da abbattere, mercati da saturare. Che sia per produrre panettoni e merendine, oppure saponi, dentifrici, saponi e rossetti, o per l'ultima onda del massacro energetico: il biodiesel. La Malesia è il gigante mondiale dell'olio di palma, ma l'Indonesia mira a strapparle il primato. Assieme controllano oltre il 70 per cento del mercato. Intanto la richiesta di olio di palma cresce senza fermarsi. Banche e azionisti investono nella commodity del futuro, nuove societa' nascono, si fondono, fanno accordi. Linee vengono tracciate sulla carta geografica, per smembrare foreste e terre indigene native in concessioni di piantagione. La corsa al petrolio verde e' appena cominciata, e gia' corre a piena velocita' di marcia, come normale nella nuova economia. E nulla sembra poter fermare questo enorme schiacciasassi, neppure l'orizzonte grigioazzurro in cui si perde il ripetersi dei quadrati verdi.