martedì 10 aprile 2001

Porto Velho



Vie squadrate e case basse. Citta' di polvere e di merci povere esposte con insistenza ripetitiva, sempre uguali. Che sia il centro del traffico della coca si vede dalle insegne, ben dipinte a vernice sui muri di legno, con cui gli avvocati vantano la loro specializzazione in cause per narcotraffico.

La citta' sembra non curarsene, con la stessa gentilezza un po' indifferente e un po' fatalista con cui guarda i pochi stranieri di passaggio. A sera, quando cala il caldo che avvampa gli occhi, il sole tramonta sul Rio Madeira facendo esplodere l'immenso cielo in alte vampate di fuoco. Poi, dopo aver passato in rassegna tutte le tonalita' del rosso, del viola, dell'azzurro e del grigio, la luce alla fine se ne va. Resta solo il puntino luminoso di una barca che si allontana silenziosa, contro la sagoma nera della foresta, oltre il fiume.

Dietro il porto riposa in pace la stazione. La ferrovia doveva essere la vittoria della civilta' sulla foresta selvaggia. E, per inciso, via di mercato per i signori della gomma boliviana.
Come al solito partirono per primi gli inglesi, evangelizzatori ed inventori dell'imperialismo ferroviario. Ma due anni di febbri della foresta bastarono a sgominare l'impresa. Ci riuscirono quaranta anni piu' tardi gli americani, al prezzo di centinaia di vite cubane e giamaicane.
Poi gli inglesi riempirono di piantagioni di gomma il Sud-est asiatico e gli imperi amazzonici crollarono in pochi anni. La ferrovia, la grande civilizzatrice, e' morta di inedia, e le antiche e potenti locomotive troneggiano coperte di liane, con ciuffi di verdi canne che sbuffano dalle ciminiere.
L'intera stazione, in solido liberty industriale, e' ora una serra senza vetri, vendicativo monumento alla foresta.

Appena calano le tenebre la citta' si trasforma. Il rospo diventa principe. O forse viceversa. Scompaiono le facce stanche, le merci povere, le vecchie Volkswagen polverose. Perfino la polvere sembra scomparire, nel luccichio dei fuoristrada di lusso, delle macchine lunghe, dei taxi miracolosamente moltiplicatisi. Il centro si riempie di gente per bene, forse un po' troppa per una citta' che importa da Sao Paulo tutto quello che consuma.
Non sono i trafficanti dai capelli impomatati, che bevono sempre il whisky sbagliato. E' un ceto medio pulito, spendaccione e spensierato. Forse anche i film dovrebbero cambiare cliche'.
Sulla parete bianca appare ironica una grande scritta a caratteri cubitali blu e rossi: "Droga Center". Ma qui, vuol dire soltanto farmacia.

Del selvaggio west e' rimasto solo il nome dell'albergo dove mi sono rifugiato: Hotel Sonora. Qui godo di una cella di un metro per due, trenta centimetri di finestra, lampadina a vista e materasso senza lenzuola. Sudando come una fontana e combattendo con le zanzare, mi godo quel che rimane dell'antica citta' selvaggia.

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