giovedì 27 settembre 2012

Le multinazionali fermeranno la deforestazione?

Per anni le imprese che lucrano sul saccheggio delle foreste - dalle cartiere ai commercianti di legname, dai grandi allevatori alle lobby agricole - hanno cercato di vendere la tesi secondo cui la deforestazione è causata dai contadini poveri che dissodano appezzamenti di terra strappandoli alla foresta, per dare del pane (o del riso) ai propri figli. Insomma, la deforestazione sarebbe causata ai poveri, per non morire di fame, un mantra ancora ripetuto da centri studi e media, spesso finanziati dalle imprese che praticano la deforestazione. Nel frattempo, molte di queste imprese, non si sono fatte scrupoli di scacciare quei piccoli decontamini dalle loro terre, per fare spazio alla propria espansione: dall'America Latina al Sud-est asiatico, all'Africa, alla Nuova Guinea, la deforestazione avanzava scacciando popoli indigeni e piccoli contadini. Ma poi su questi è ricaduta la colpa della deforestazione. Nel frattempo è sempre più difficile sostenere una tesi del genere, semplicemente i numeri non reggono. La globalizzazione ha spinto milioni di contadini verso le grandi città, mentre le campagne - e le foreste - sono sempre più massicciamente gestite da grandi gruppi industriali organizzati su vasta scala. I governi, per non perdere preziose opportunità di sviluppo, si affrettano a finanziare grandi progetti infrastrutturali come strade, dighe e centrali elettriche, che aprono nuove aree di foreste incontaminate. Secondo uno studio del WWF, quasi la metà di tutta la produzione mondiale, secondo uno studio del WWF, è gestita da appena un centinaio di imprese. E la gran parte delle foreste viene abbattuta su spinta delle grandi multinazionali, che controllano quote sempre più ampie del mercato. Il WWF ne trae una confusione ottimista: basta cambiare l'attitudine di queste cento imprese per fermare o rallentare la deforestazione. I grandi gruppi, come McDonalds, Mattel Inc, Nestlé, Monsanto ecc., sono più esposti alle campagne ambientaliste, e in effetti, nel recente passato hanno dovuto modificare le proprie pratiche per proteggere il proprio marchio. Purtroppo, non è così semplice. Innanzitutto, non sempre è facile distinguere tra reali progressi e raffinate tecniche di comunicazione, che fanno passare per pratiche sostenibili quello che in realtà è business as usual. Dopo essersi scottati le mani, i grandi gruppi hanno fortemente sviluppato la comunicazione ambientale, spesso sconfinando massicciamente nel "green-washing" - ossia presentando qualità ambientali dei propri prodotti o della stessa azienda, che non corrispondo alla realtà dei fatti. La realtà è che i grandi gruppi industriali dispongono di potenti risorse tecnologiche, accresciute proprio dalla concentrazione di ricchezze e capitali, e sono in grado di accelerare il processo di deforestazione: spesso la tentazione di utilizzarli - con immenso profitto - è semplicemente troppo forte. Inoltre possono facilmente influenzare i governi nazionali - talvolta con un bilancio di gran lunga inferiore al loro - corrompendo in funzionari o esercitando pressioni politiche, per ottenere vaste connessioni, per evitare ammende e perfino per legalizzare le pratiche illegali. Un altro effetto della globalizzazione. C'è un terzo effetto della globalizzazione che rischia ora di rendere sempre più difficile il lavoro di gruppi di pressione come il WWF. Per influenzare le grandi multinazionali, questi hanno fatto appello ai consumatori, invitandoli a usare il diritto di scelta, e -attraverso questo- a esercitare una pressione di mercato sui gruppi industriali che più danneggiano l'ambiente - evitando i loro prodotti. Ma lo spostamento di sostanziali fasce di mercato di consumo verso i paesi emergenti, rende questa pratica sempre meno efficace. I mercati emergenti hanno forme diverse di sensibilità ambientale (per esempio, il mercato si concentra nelle città, dove è più forte la sensibilità verso l'inquinamento urbano che non verso la deforestazione in remote aree rurali). Le multinazionali hanno saputo rapidamente comprendere e sfruttare a loro vantaggio, ed è per questo che per esempio le associazioni ambientaliste faticano ora a influenzare le pratiche del colosso cartario Asia Pulp & Paper (APP), per il quale i mercati occidentali sono relativamente marginali, mentre gli acquirenti in Cina, Sud-est asiatico e Medio oriente non sono troppo sensibili alla tematica dalla deforestazione in Indonesia.