lunedì 12 novembre 2007

Naufragio nello Stretto di Malacca



Batam. Di nuovo sulla strada verso il porto. Tra le rocce basaltiche piccoli boschetti si specchiano sulle acque del lego. Guardo questo verde che non vedro' mai piu': se anche mai dovessi tornare, al suo posto trovero' banche, magazzini portuali e centri commerciali.

Il porto pero' e' ancora vecchio stile, a differenza del terminal per Singapore. Una fila di panche affollate da gnete carica di pacchi. Facchini spingono verso il molo carretti ingolfati di merce. Mi guardo attorno, siamo gli unici bianchi. Alla biglietteria ci hanno ritirato il biglietto e ce ne hanno dato un altro: stessa destinazione, stesso prezzo, ma un altro orario. Il primo sospetto e' che abbiano cancellato un viaggio per concentrare i passeggeri su un unico battello. Il sospetto si rafforza quando vedo la massa di gente che attende in fila.

Un impiegato grida le destinazioni "Sembulunsebulunembulung", "Bulanbulanbualn". Non sembra sia la nostra. Alla fine arriva il grido "Bilahabilahabilahan" Ci siamo, e' Tembilahan, almeno speriamo. Ed e' qui che l'iniziale sospetto diventa certezza: il traghetto non e' che un grosso motoscafo, non piu' grande di un pullman da 70 posti ben stretti, in cui si accalcano centoventi persone. Ci saranno posti per poco piu' della meta' delle persone. Guardo in alto, nelle piccole scansie che contengono i giubbotti salvagente. Non bastano neppure per i posti a sedere. Dietro il finestrino il porto e' gia' un puntino. Spero tanto di non dover fare un bagno in mare.

Il motoscafo coore sussultando sulle onde, col suo carico di gente compressa. Le isole si susseguono, una dietro l'altra. Ciuffi di mangrovie abbarbicate su fazzoletti di terra. Sono le isole a cui Conrad e tanti altri hanno affibbiato il sapore selvaggio e esotico, con storie di pirati e avventurieri dallo sguardo triste su un mare giallo e stagnante.

I vecchi malay invece raccontano altre storie. Leggende di esseri traslucidi che abitano presso alberi, rocce e insenature, e che tessono i destini degli uomini in trame segrete e innominabili. Scacciati dal progresso che sta divorando Batam, devono essersi rifugiati in queste isolette E mi sembra di sentine affiorare il respiro, dietro al frastuono del motore, in brandelli di profumo che la brezza porta dalla foresta.

Un sussulto improvviso mi riporta al battello. No, non e' un sussulto, e' un colpo secco, sulla fiancata. Il motoscafo inchioda in un tripudio insistente di sirene che perforano l'aria. Mi guardo attorno. Voci e grida incomprensibili. Decine di mani frugano concitatamene le scansie sopra i sedili e afferrano i giubbotti salvagente. Un bambino piange.

Non capisco cosa succede, so solo che per me i giubbotti sono fuori portata. Non c'e' molto che possa fare. Resto li' a pensare che non mi piacerebbe affondare in mezzo a tante mani disperate che mi tirano a fondo. Resto li a pensare quanto inutile sia il mio pensare. Il motoscafo oscilla sulle onde. Tutto attorno travi, taniche, bagagli scaraventati in acqua.

I secondi scorrono lenti, lentissimi, ma il battello non inizia a inclinarsi su un fianco, ne' ci sono spruzzi d'acqua da tutte le parti, non ancora almeno. Poi delle grida verso l'acqua mi fanno capire cosa e' successo. Una piccola barca di legno giace sventrata e capovolta. E' lei la vittima, non il mio battello. I giubbotti di salvataggio volano in acqua. Due uomini grondanti e in evidente stato di shock vengono tirati a bordo. Uno viene disteso sul tettuccio del motoscafo, non reagisce. L'altro grida qualcosa con voce rotta dal pianto, indicando il relitto quasi spezzato in due. E' scomparso un vecchio, il terzo passeggero della barchetta, disperso sotto i bagagli che fluttuano sparsi sulle onde.

Guardo le facce ammucchiate nel piccolo traghetto. Vecchi cinesi muti dallo sguardo impenetrabile, giovani donne che stringono i neonati, altre che si nascondono nei fazzoletti colorati che portano sul capo, giovani vecchi malay dai volti scavati. E fuori bordo, i due uomini che si sono gettati in acqua per cercare il vecchio e recuperare ameno parte dei bagagli. Mi domando a cosa stanno pensando. E penso a come e' difficile vivere e morire tra queste isole.

Penso a un corpo anziano che fluttua in una danza senza vita, in quello che avrebbe potuto essere il posto mio o di ciascuna di queste persone che mi circondano.

Penso che il mio corpo, le mie membra, il mio baglio sono stati massa d'urto, proiettile piantato in una vita spezzata. Mi domando come sono le facce che stanno aspettando un uomo che non tornera' piu', che nuota immobile sotto di me, sotto le taniche sparse, sotto le travi spezzate. Forse decine di esserini translucidi lo stanno accompagnando a nuoto verso luoghi misteriosi.

Barche di pescatori arrivano, caricano i feriti e quel che resta dei bagagli. Le sirene continuano a perforare l'aria, quando il motoscafo lentamente riparte, guidato da un pilota in stato di shock.

La pioggia arriva improvvisa, una striscia scura nel cielo giallastro. Calda e generosa, porta via sudore, lacrime e pensieri.