venerdì 16 novembre 2007

Caccia all'orso



Sembra Emiliano Zapata. Grande e grosso, non parla mai e gli enormi baffi gli conferiscono un'espressione severa. Ma il sorriso e' dolce come quello di una scolaretta. Se ne sta seduto tutto il tempo, a guardare oltre l'orizzonte, il sarong blu notte avvolto attorno ai fianchi come su un antico guerriero giavanese, o drappeggiato sulle spalle con dignita' senatoriale.
Ci ha guardato in silenzio mentre indicavamo stupiti coppie di buceri o aquile di passaggio. Ci ha guardato in silenzio mentre discutevamo la specie di un gruppo di scimmie. Disapprova? Gli e' indifferente? Difficile dedurlo da quel silenzio, da quella nobile immobilita'.
Ma oggi si e' mosso, Emiliano Zapata.. Non si e' solo mosso. Mi ha afferrato per le spalle e trascinato via come un fuscello. Ha perfino parlato, spiegandomi nonsocche' con concitazione. Ma non ha mollato la presa.
E' uno che inspira fiducia, Emiliano Zapata, forse per il suo silenzio ostinato. Lo seguo docile lungo il sentiero, poi attraverso campi recentemente aperti. Un albero ancora brucia dalle radici, aspettando lo schianto che lo butti giu'. E io continuo a seguirlo, inciampando sulle radici, camminando sopra tronchi abbattuti. Lo seguo nella foresta, dove un albero abbattuto giace in un letto di segatura. Lo segui e non capisco dove, non capisco cosa succede. Ogni tanto giro lo sguardo verso il suo corpo massiccio, e lui mi risponde con uno sguardo di conferma e rassicurazione. Non mi resta che seguirlo. E o seguo attraverso gli sterpi le liane sempre piu' fitte, lo seguo mentre la foresta si fa nera come la notte.
Ed e' li, nel nero, che un'ombra nera si muove dondolando. Solo allora capisco cosa sta succedendo. E' un orso, si agita preso in una trappola di cacciatori. Finito per sbaglio nella trappola destinata a qualcun altro. Furioso e spaventato, affonda le zanne nell'albero cui è legata la corda che lo lega. E il tronco e'ora un unico ammasso di trucioli sparsi.



Sotto la gola la falce bianca che rende riconoscibile la sua specie, e' un orso malese, o sun bear. Del resto non c'e' una gran possibilita' di errore: e' l'unico orso che vive in Indonesia. Ma e' rarissimo. L'IUCN l'ha appena inserito nella lista rossa delle specie minacciate, denunciando un declino della popolazione del trenta per cento in trenta anni.
Trenta per cento in trenta anni. Che percentuale rappresenta la massa di pelo nero che si agita di fornte a me? Dal buio delle fronde appare un'altra figura, una specie di fauno, con un trenta per cento di maglietta sulle spalle, e un venti per cento di pantaloni alla cintola. Il resto sono muscoli scuri, tatuaggi e stringhe.
Improvvisamente il gap linguistico diventa un dramma. I due ora si aggirano attorno all'orso con minacciosa cautela. Studiano l'animale a debita distanza, tagliano rami lunghi e drtitti. Vorrei spiegare loro quanto e' raro questo animale, quanto e' prezioso. Cerco di spiegarmi a gesti, ma come spiegare a gesti che una specie animale e' in via di estinzione? E so che per loro e' un animale feroce, un pericolo per le famiglie e i bambini. Immagino le storie raccontate la sera, di fronte al fuoco, di orsi feroci e terribili, delle astuzie per mettersi in salvo dal terribile predatore. Cosi' terribile che e' praticamente vegetariano. Ma come spiegarmi? E' uno scontro antico, ancestrale, tra l'Uomo e la Bestia, fatto di paure reciproche, che non consoce ragioni.
La povera bestia agita le zampe. I lunghi artigli lasciano file di solchi nella corteccia degli alberi circostanti.
Ma io cosa ci faccio qui, tra i cacciatori? Sono la persona sbagliata nel posto sbagliato. E nel momento sbagliato. L'orso latra come un cane al laccio. Attorno a lui e' un campo di battaglia di rami spezzati, fronde affastellate. Le parole vagano senza meta, senza effetto. Sono parole inutili, morte. Il terrore accomuna preda e cacciatori.
E' sera ormai. Altre ombre si sono materializzate tra le fronde sempre piu' scure. E' la gente delle baracche della zona. Sono venuti tutti per la caccia all'orso.
Ormai siamo alla fase finale. Con lunghi bastoni immobilizzano l'animale, con mosse precise, caute, evitando i fendenti artigliati dell'orso. Rapidamente strisce di corteccia catturano le zampe, le immobilizzano, fissandole ai bastoni. Dura un attimo, e l'animale e' legato attorno al bastone. Le parole continuano a uscire mute dalla mia bocca. L'orso continua a latrare disperato.
Finalmente trovo qualcuno in grado di tradurre qualche spezzone di frase. Mi rassicura: nessuno mangia orsi qui, ne' si uccide senza ragione. Ma l'orso minaccia le famiglie, i bambini, e torna sempre nel posto del primo incontro. Quindi lo porteranno lontano, oltre il fiume, dove non sara' piu' una minaccia.
Vorrei sentirmi rassicurato, ma i guaiti dell'animale non me lo consentono. Continuo ad essere nel posto sbagliato. Ma chi di noi e' nel posto giusto? L'orso? I volti spaventati della gente che mi circonda? No, non e' il posto giusto per nessuno, qui.



La zanzariera oscilla lievemente. La pioggia cade ticchetando sul tetto di foglie, come una solerte dattilografa. L'aria è calda e oleosa. Travi e bambù creano un intarsio di poligono a righe orizzontali e verticali, come una intarsio giavanese. Attraverso i veli, fuori dalla finestrella gli alberi come ombre nere oscillano al vento contro un cielo sempre più scuro.
Il mondo sembra muoversi con leggerezza, come navigando sul pelo di onde leggere. O forse e' la febbre che ricordi e delirio in un'unica trama. Poi i brividi lasciano spazio a un sonno pesante e senza colori. Rincantucciato nel fondo del sacco a pelo, ritrovo finalmente il posto giusto.

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