venerdì 2 aprile 2004


Mindorou, 2 aprile 2004. La mattina dopo ci sveglia alle cinque il canto del muezzin che chiama i musulmani alla preghiera. Si parte di nuovo per una strada tutta uguale: fango e buche, villaggi sempre piu' poveri, donne coi pesi sulla testa che camminano ai margini della strada, e camion carichi di tronchi. Siamo diretti alla segheria di Mindorou, che serve le concessioni della Alpi, un'impresa italiana nota da noi come socialmente responsabile. Alcuni mesi fa, in Italia, il direttore operativo per il Camerun ci aveva invitato a visitare le concessioni forestali di cui vantava il moderno piano di gestione. Ma quando l'ho contattato via telefono da Yaounde' per concordare la visita, ma mi ha fatto sapere che non ci avrebbero mostrato ne' le operazioni forestali ne' la segheria. Greenpeace non e' ben accetta, "siamo nemici" dice. Saremmo stati benvenuti preso gli uffici, ma la societa' non ci avrebbe aperto le proprie foreste. Bene, andiamo lo stesso, c'e' sempre qualcosa da imparare.
La prima cosa che notiamo e' il villaggio: se qualcuno crede alla leggenda dell'industria del legno che porta sviluppo e benessere alla gente del luogo, venga a Mindorou e trovera' una smentita panoramica. Un ammasso di catapecchie, qualche cubicolo in mattoni grezzi, e nessuna parvenza di attivita', a parte qualche bancarella stenta e l'agricoltura di sussistenza. Baracche di legno e fango, bambini che si trascinano annoiati nella polvere, contadini che espongono invano verdure senza clienti... Tutto tranne che un centro sviluppato, se si eccettuano, poco fuori il villaggio, le strutture della segheria e la villa del direttore con giardino.

Il direttore dello stabilimento e' cortese ma tutt'altro che entusiasta di parlare con noi. Trapela, anzi un certo nervosismo, che raggiunge il massimo quando si parla di legno illegale. Soprattutto quando chiediamo come fa la segheria di Douala a garantire la legalita' se acquista tronchi da terze parti. Allora se la prende contro 'l'inquisizione' praticata dagli osservatori indipendenti, sempre in caccia di un errore, privi di elasticita'. Infatti anche la Alpi non e' stata completamente esente da multe per taglio illegale al di fuori della concessione.
Spostiamo allora il tema sulla lotta al bracconaggio, che sta decimando le popolazioni di gorilla ed elefanti. Qui la riposta e' pronta: le strade di accesso sono controllate, entra solo chi ha il permesso. Facciamo notare che il problema e' un altro, come sempre: l'apertura di una concessione, con l'arrivo di centinaia di lavoratori da altri distretti, cresce la domanda di cibo. E la cacciagione e' gratuita. Alcune imprese per scoraggiare la caccia si sono impegnate a fornire ai lavoratori cibi surgelati a prezzo calmierato tramite dei buoni integrati allo stipendio. Ma la Alpi, ci fanno notare, non e' un ente di beneficenza. Fornisce un mezzo per andare in citta' a fare acquisti due volte al mese, che in un paese senza frigoriferi ci sembra una strategia eccellente.

Di sviluppo economico e sociale proprio non si parla. Un tempo, ci spiegano, la societa' si occupava di alcune attivita' sociali, poi con la nuova legge, che riserva meta' delle tasse alla regione di taglio, questo compito e' demandato alle autorita'. Basta guardare Mindorou, ci dicono, non c'e' sviluppo. E questo, senza dubbio, e' vero.

Ci allontaniamo un po' delusi. Una impresa, presentata in Italia come campione di responsabilita' sociale, in Camerun si limita (con qualche scivolone) a rispettare la legge. Per tutto quello che in piu' si potrebbe fare, si trincera dietro la stessa frase "non e' compito nostro, non siamo una societa' di beneficenza".

Prima di lasciare il paese, passiamo dal capo tradizionale per sentire un parere sulla presenza della compagnia a Mindorou, e qui scopriamo altre verita': nel villaggio la tensione e' alle stelle. La gente chiede lavoro, l'impresa lo nega: i locali sarebbero tutti ignoranti. Di fatto gran parte dello staff viene da altre zone. L'ignoranza e' un limite comune a molte aree dell'Africa, ma non e' un male senza rimedio. La concessione vicina impiega quasi esclusivamente mano d'opera locale, previo corso di formazione, ma evidentemente gli abitanti di Mindourou sono considerati irrecuperabili, o i corsi di formazione una "beneficenza" troppo onerosa.

L'assunzione di personale esterno alla regione, rappresenta un'occasione mancata di sviluppo e lavoro per le gente del posto, ma comporta diverse conseguenze anche piu' gravi. Innanzitutto la richiesta improvvisa di proteine che alimenta il bracconaggio, la crescita di tensione tra gente del luogo (senza lavoro, o con incarichi mal pagati) e chi viene da fuori che sbocca facilmente in conflitti tribali. L'improvvisa presenza di un numero massiccio di maschi adulti, senza adeguati programmi di prevenzione, incoraggia invece la diffusione della prostituzione e dell'AIDS.

I problemi non finiscono qui. Il cryprogil, un biocita chimico utilizzato per combattere l'insorgenza di funghi e parassiti nel legno, e' a base di PCP, un composto velenoso che spesso si associa alla diossina. Questo filtra nel terreno e contamina il fiume, unica fonte gratuita di acqua potabile per tutta la piccola citta'. Lo stesso per gli oli esausti, che vengono semplicemente interrati. Arrivato in Italia, il legno alla diossina crea scandalo, ma i danni principali restano qui, dove le denunce possono costare care. Molto care.

La gente di Mindorou percepisce innanzitutto la discriminazione degli abitanti del luogo. Sta di fatto che quando hanno formato un comitato dei ventuno villaggi della zona, e hanno organizzato un blocco pacifico di fronte alla segheria, la risposta e' stata univoca. Dopo qualche giorno, secondo il capo villaggio, il comandante della gendarmeria ha fatto irruzione alle cinque del mattino con un camion di guardie e ha arrestato una dozzina di persone, tra cui il capo del villaggio. Dodici giorni di arresto senza motivo e senza processo per tutti, poi tre mesi di carcere per sei di loro con l'accusa di saccheggio ai danni dei beni della compagnia. La manifestazione pero' si teneva fuori dai cancelli, dove era ben difficile saccheggiare qualcosa, come ci confermera' poi un giornalista presente all'evento. La rappresaglia della compagnia, secondo la gente del posto, non si e' fermata qui: ha licenziato diversi dipendenti per sciopero non autorizzato, ha interrotto le forniture di corrente elettrica alla chefferie, ha smesso di cedere agli abitanti gli scarti di legname. L'altra faccia, quella africana, della responsabilita' sociale di una moderna impresa italiana.

La sera, viaggiando verso Yokadouma, scoppia un temporale, che trasforma la strada in un fiume di fango. I camion corrono a tutta velocita' come di giorno, viaggiando sempre al centro della carreggiata, e non si spostano ne' rallentano se una macchina arriva in senso inverso. Evitarli e' un'acrobazia. Ne sfioriamo quattro o cinque, ma arriviamo interi in citta'.

A Yokadouma arriviamo tardi. Passiamo una prima notte in una locanda fatiscente popolata da una ricca biodiversita': coraggiosi come giaguari, rapidi come gazzelle, intelligenti come scimpanze', enormi scarafaggi rossicci ci prendono d'assedio. A nulla serve la zanzariera rimboccata sul letto: vengono dai loro nidi dentro il materasso, saltano sul letto, ballano la rumba sulla nostra faccia, al tempo di musiche - o meglio grida di pseudo-funkie - che filtrano dalla strada, diffuse fino alle tre del mattino da gracchianti altoparlanti. Alle sei del mattino gli stessi altoparlanti trasmettono pie canzoni religiose, e gli scarafaggi, forse per mistico rispetto, battono ritirata. Ma ancora per qualche giorno continueranno a uscire fuori dal mio zaino.

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