martedì 13 aprile 2004



Libongo, 13 aprile 2004. Dall'altra parte del fiume ci aspetta l'inferno di Libongo. Attraversiamo di nuovo il fiume su una piccola piroga stracarica. Ogni oscillazione del rematore porta il bordo della piroga sul pelo dell'acqua, e non e' facile mantenere il fragile equilibrio: un movimento sbagliato di uno di noi, e si finisce tutti in acqua a sguazzare coi coccodrilli. Appena sbarcati a Libongo si ricomincia a sudare come fontane. E si continua a sudare mentre si discute di nuovo con l'ufficiale doganale che pretende il suo denaro. Chiedere una ricevuta del pagamento, serve solo a provocare nuove minacce: "se fate complicazioni per un problema cosi' piccolo, cosa fate se vi capita un grosso problema? Perche' i grossi problemi capitano, eh si'..." Lasciamo perdere la ricevuta e ritroviamo la liberta'. Immaginiamo i problemi che capitano ogni giorno alla gente comune, quella che non puo' ha i soldi per pagare.

Ci rechiamo alla segheria e tentiamo almeno di parlare con qualcuno della direzione, ma e' sabato, e per giunta il messaggio radio con cui avevamo annunciato il nostro arrivo sembra scomparso: nessuno l'ha ricevuto. Uno stato maggiore dall'aspetto piuttosto rude ci scruta con attenzione. Sara' meglio cambiare aria? Parliamo allora con alcuni lavoratori, ma al di fuori della segheria. Ci raccontano delle dure condizioni di lavoro, della frequenza degli incidenti, in seguito ai quali i lavoratori vengono abbandonati a se stessi.

Poi ci rechiamo dal capo del villaggio, per chiedere come sono le relazioni con la Sefac. Anche qui la gente del luogo lamenta l'insufficienza di assunzioni tra la gente del luogo, soprattutto per i lavori meglio pagati. Diversi accordi non sono stati mantenuti, progetti promessi e mai realizzati. Inutile aggiungere che i pochi servizi sanitari, gestiti dalla compagnia, sono a prezzo di mercato. Gli stessi lavoratori lamentano come l'infermiere di servizio presso il dispensario, cerchi di piazzare medicinali cari e non necessari per puro scopo di lucro.

L'ultima tappa e' il villaggio dei pigmei Baka. Ci accolgono gentili, come sempre, e ci fanno sedere sotto una tettoia di foglie di palma. Anche qui le solite storie: campi distrutti dalle ruspe, cortecce medicinali, animali e alberi di mango selvatico che spariscono dalle aree di taglio. Le ruspe spesso cancellano i sentieri dei pigmei, che si perdono nella foresta, durante i loro spostamenti migratori. Come se non bastasse, una impresa che collabora con la Sefac, organizzando safari nelle sue concessioni, ha preso possesso delle aree tradizionali di caccia dei Baka, ai quali e' ora interdetto l'accesso.

Ma non sono solo i safari a sottrarre ai pigmei le risorse tradizionali. Il bracconaggio organizzato sembra di gran lunga piu' aggressivo, ed ha un forte incentivo: la massa di lavoratori e di consumatori portati dalla Sefac in quel pezzo di mondo. Solo a Libongo ci sono ben due mercati della selvaggina. In partnership con un programma del Wwf per ridurre la caccia, la Sefac si e' impegnata a invitare dei venditori di pollame e carne bovina. Ma la gente che vive qui ci fa osservare come i prezzi del pollame in vendita siano proibitivi mentre la selvaggina costa pochi franchi. Veniamo poi a sapere che i veicoli di una impresa libanese che trasporta i tronchi per la Sefac trasporta anche la carne dalla foresta ai mercati di selvaggina, uno dei quali si tiene proprio di fronte all'entrata della segheria.



Varrebbe la pena di prendersi una decina di giorni per ispezionare i confini della concessione. Da quando ha ottenuto nuove concessioni (una delle quali aveva gia' iniziato a sfruttare illegalmente) la Sefac non e' stata piu' multata per grandi operazioni di taglio illegale. Notiamo pero' la presenza di numerosi tronchi dal diametro inferiore al minimo consentito per legge. E' un po' quello che succede in tutta la regione: in seguito ai programmi di monitoraggio, il taglio massiccio di alberi al di fuori delle concessioni e' meno frequente, e si preferisce tagliare in modo eccessivo le aree assegnate. E' egualmente illegale, ma i controlli si fanno molto piu' complessi.

I lavoratori ci confermano che quei tronchi di alberi troppo giovani non sono una eccezione. Di tanto in tanto i tronchi vengono sequestrati dalle autorita', ma poi dopo qualche giorno rientrano misteriosamente nella segheria. Sentiamo anche storie strane, come quella di un funzionario dell'ente di controllo forestale che ora lavora direttamente per la Sefac. O come quella del martello a secco (che dovrebbe confermare la legalita' di ciascun tronco da parte delle autorita' forestali) "prestato" dalle autorita' locali alla compagnia. Si tratta solo di voci, ma sono pratiche frequenti nel settore forestale del Camerun. Di certo non sarebbe la prima volta.

Rispetto agli anni passati, il taglio illegale ha cambiato alcune delle sue pratiche, ma ha anche ritrovato la propria aggressivita'. Il legame tra corruzione nell'amministrazione, compagnie prive di scrupoli e realpolitik delle diplomazie - e della Banca Mondiale sta portando allo smantellamento dei programmi di monitoraggio, mentre i tagli dei fondi di sviluppo hanno portato alla cancellazione di programmi di conservazione. Tra le organizzazioni non governative, e tra gli enti di cooperazione, regna lo sconforto, come alla vigilia di un'ultima battaglia data ormai per persa. Nelle stesse settimane, il parco nazionale di Korup e la riserva di Dja (patrimonio universale dell'Unesco) stanno per essere abbandonati per carenza di fondi: sono lasciati incustoditi, alla merce' dei bracconieri. Tanti pezzi di Africa che se ne vanno, come in un puzzle che nessuno potra' mai piu' ricostruire.

Lasciamo Libongo e ci tuffiamo di nuovo nella lunga strada della foresta. Il sole al tramonto crea tra gli alberi magici giochi di luci e ombre. Piccole scimmie nere si rincorrono sui rami, sorvegliate da grandi uccelli azzurri. Un ultimo sguardo al panorama incantevole, un pensiero ai suoi anni contati e riprendiamo la strada, prima che ci colga la notte. I tronchi continuano a correre, avvolti in un manto rosso di polvere. Promettiamo loro di incontrarli di nuovo: in Europa.

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