martedì 6 aprile 2004

Il tramonto dei pigmei



Yokadouma, 6 aprile 2004. Facciamo colazione in un cubicolo di cemento con due tavolini trasandati e unti. Fuori una storta e sgocciolante scritta a vernice dichiara orgogliosamente "Restaurant du Luxe". Fegato di bue con cipolle e te' dolce, prima di metterci di nuovo in marcia. Da dietro il velo strappato che fa da tenda al bar, continuano a sfilare camion carichi di tronchi, avvolti nella loro lugubre mantelllo di polvere.

A un'ora di auto da Yokadouma ci fermiamo in un accampamento di pigmei Baka. Siamo presentati da un amico, ci accolgono fraternamente, ed e' sempre cosi' quando si vince la timidezza iniziale. I pigmei sono i veri abitanti della foresta, e il loro destino e' strettamente legato alla sua vita, agli alberi, alla selvaggina. Per tradizione sono raccoglitori di cibo semi-nomadi, si spostano seguendo il corso delle stagioni nelle vaste estensioni di foresta pluviale. Il villaggio che abitano ora si chiama Ntounlkuon, dal nome di un grande albero che sorge nei pressi, una specie di gigantesca zucca dalla forma bizzarra e dalle proprieta' medicinali. Le capanne sono basse, un metro circa, a forma di igloo, fatte di rami sapientemente intrecciati e coperte di foglie. L'interno e' fresco, allietato un forte profumo di miele, cera e fumo. Ci portano a vedere la loro foresta, ci spiegano l'uso delle foglie di un albero, della corteccia di un altro. E intanto ridono, ridono sempre. Come se ridere di tutto e divertirsi con niente fosse un modo per sopravvivere in un mondo che non ha piu' posto per loro.

Uno dei pigmei ci mostra come prepara una trappola. In pochi minuti ha scavato un buco in cui viene messo un complicato insieme di bastoncini che sostengono la "molla": un ramo di legno verde piegato ad arco cui e' legato il cappio. Alla prima sollecitazione la molla scatta e il cappio si stringe sulla preda. Finito il lavoro, vi mette la mano e zac... la trappola scatta . Ma sempre piu' spesso le trappole restano vuote: la distruzione della foresta e l'incremento della caccia di frodo coi fucili tolgono ai pigmei risorse alimentari necessarie. Quando la selvaggina e' esaurita, le concessioni danno fondo alle loro scorte di carne congelata. Ai pigmei non resta che nutrirsi di radici e topi.



Quando chiediamo quanti sono nel loro gruppo, ci guardano un attimo smarriti, poi iniziano a contarsi e scoprono di essere piu' o meno ventitre'. Questo rapporto molto poco "contabile" con la realta' li rende indifesi di fronte alle compagnie del legno. I pigmei conoscono i segreti della foresta, vi hanno vissuto per secoli senza distruggerla, ma sono indifesi di fronte alla matematica e al diritto. E' il caso di questo gruppo: quattro anni fa una compagnia, la Cfi, ha sfruttato la loro foresta, e come previsto dalla legge, in quell'occasione aveva incontrato le comunita' locali per concordare un prezzo. Nessuno pero', fra i pigmei, ricorda quale sia stato l'esito della riunione: si', c'era da mangiare e da bere, e tutti erano contenti, ognuno ha avuto una ciotola piena di riso, e c'era anche della carne e del sale, cosi' la compagnia ha iniziato a portare via alberi. Qualcuno ricorda che il cibo era stato dato in consegna al vicino villaggio bantu e che quando i pigmei ne avevano chiesto di piu' erano stati minacciati e picchiati. Certo, se la Cfi venisse ora, le chiederebbero almeno la costruzione di una scuola, o di un ambulatorio dove poter andare senza dover pagare. Ma la foresta ora e' gia' stata sfruttata.

Ora la compagnia e' andata via, ma prima sono partiti i grandi animali. Prima c'erano antilopi fin quasi al villaggio. Ora devono andare lontano, a giorni di cammino per cercarle, fin oltre il fiume Bonbo. E soprattutto, sono spariti molti alberi con proprieta' medicinali che i pigmei usavano per curare i bambini. Se qualcuno di loro si ammala devono portarlo all'ambulatorio del vicino villaggio di Manpa, ma poi non hanno i soldi per pagarlo, per il semplice fatto che la foresta non produce denaro. Cosi' come non vengono assunti dalle imprese del legno, perche' dovrebbero avere la carta d'identita', e nessuno di loro e' registrato all'anagrafe. I pigmei, gente di foresta, per la legge semplicemente non esistono.

I pigmei Baka nella regione del sud-est sono circa quarantamila e in questo distretto sono piu' numerosi dei bantu, anche se non li si incontra spesso perche' vivono nel profondo della foresta. Ma l'espansione dello sfruttamento forestale ha portato le operazioni di taglio del legno fin dentro i loro territori. L'opposizione dei pigmei alla distruzione del loro ambiente sembra una battaglia disperata: il governo non riconosce il loro diritto alla terra, a meno che non diventino sedentari e non si registrino. Diversi progetti di sviluppo hanno cercato di convincere i pigmei insediati piu' vicino alle strade a costruire grandi capanne quadrate, sul modello dei bantu', e a frequentare le scuole. I pigmei non dicono mai di no: hanno costruito le grandi capanne ma le hanno lasciate vuote per dormire nei loro igloo, costruiti poco piu' in la'. Alla scuola ci vanno se devono, ma appena arriva la stagione secca, inizia il viaggio verso i territori di caccia, e i pigmei scompaiono. Le scuole, per mesi, restano vuote.

I pigmei Baka non vivono isolati: da secoli scambiano prodotti e servizi con i vicini bantu, ma ora la civilta' delle motoseghe sta minacciando il loro modo di vita. Molti hanno abbandonato il nomadismo e si sono stanziati nei pressi delle strade del legno, e fenomeni quali la prostituzione, l'alcolismo e la criminalita' si stanno diffondendo rapidamente. Alcuni, spinti dalla fame, si sono ridotti a collaborare con i cacciatori, contribuendo alla morte del proprio mondo. Molti altri si sono ora ridotti a lavorare come braccianti per i bantu, in condizioni quasi servili. E' il lento tramonto di un popolo dolce e mite.

Verso Libongo
Libongo, 9 aprile 2004. La strada corre rettilinea, come tagliata con la squadra in mezzo alla foresta. Per ore l'automobile corre su un manto di pietruzze appuntite senza mai incontrare una casa o un villaggio.
Stiamo attraversando le concessioni della Sefac, la societa' dell'italiana Vasto Legno. Un vero e proprio feudo grande quanto una provincia. Questa e' una delle regioni piu' ricche di fauna: lungo la strada troviamo diverse tracce di elefanti di foresta, e non e' inusuale che si vedano gorilla attraversare la pista. Tutta l'area si trova inoltre in un punto strategico: posto in mezzo a tre importanti aree protette, dovrebbe diventare il centro di un grande parco trinazionale, un sistema che dovrebbe unire i parchi di Camerun, Repubblica Centrafricana e Congo Brazzaville. Ma intanto le operazioni di taglio vanno avanti senza rallentare, e le numerose strade, come quella su cui viaggiamo, continuano a offrire viabilita' ai cacciatori di frodo, che stanno svuotando la foresta.

Le prime capanne di pigmei, con la loro forma a igloo, ci avvertono che ci avviciniamo a Libongo. In breve ecco l'aeroporto della Sefac, poi la segheria e da ultima la cittadina.

Pochi posti al mondo appaiono tristi e miserabili come Libongo. Il caldo opprimente e umido che costeggia il fiume e' appropriato al paesaggio desolante. Baracche malmesse si accumulano ai lati di strade fatte di fango secco impastato a rifiuti. Bambini con i vestiti cadenti, tutti dello stesso color polvere, siedono per terra troppo stanchi per giocare. Vecchie che si trascinano sotto il peso di taniche d'acqua o fasci di legna, uomini seduti all'ombra a guardare il nulla.

Da questo inferno di polvere e sudore, oltre il fiume e il confine della Repubblica Centrafricana, appare una visione del paradiso, la sagoma della foresta di Dzangha-Sangha. E' Pasqua, e decidiamo di prenderci un paio di giorni vacanza e di passare il fiume, vedere com'e' una foresta prima dell'arrivo delle ruspe.

1 commento:

Anonimo ha detto...

perche' caro sergio la gente del mondo continua a non capire che le foreste sono la vita e tutti in casa e in barca abbiamo un pezzo di vita,iroko wenghe'ecc.rubato ai pigmei rubato ai bimbi..pezzi di vita persi per sempre..discutono in tavoli di mogano..i grandi della terra...si chiedono come salvare la terra...ivan