domenica 29 dicembre 2019

C’era una volta il Cile


C’erano un tempo i prati e i boschi della punta meridionale del continente latinoamericano erano abitati da popoli indigeni, in larga parte dal popolo Mapuce. Poi sulle sue coste sbarcò Magellano, il grande navigatore, e sulle suo orme sbarcò Pedro de Valdivia, che con un esercito, ferro e fuoco si prese territori immensi, fondò Santiago, e iniziò una guerra agli abitanti locali che doveva durare tre secoli, la “Guerra di Arauco”. Nel corso di questi trecento anni i conquistadores si presero le terre migliori, vi insediarono piantagioni, pascoli e industrie, costruirono città dove i nuovi proprietari potessero vivere con tutti gli agi. Era il Cile moderno, colto e europeo, cresciuto sulle ossa dei popoli originari. I restanti Mapuce, così come gli altri popoli indigeni del nord, sopravvivevano nelle residue terre, in genere in aree poco accessibili, impervie o marginali. Così sopravvivevano, fino a quando il sanguinario colpo di stato del generale Augusto Pinochet, stuzzicò gli appetiti delle potenti famiglie del paese, due delle quali crearono imprese forestali, Celulosa Arauco, Celulosa Constitución (che poi si fusero in Arauco y Constitución) e la Compañía Manufacturera de Papeles y Cartones (CMPC). I loro funzionari si presentarono nei villaggi indigeni, debitamente accompagnati da esercito e Carabineros, per annunciar loro che da quel momento erano i soli proprietari delle terre indigene. Le terre ancestrali diventarono così piantagioni industriali di eucalipto. L’eucalipto, pianta esotica di origine australiana, ha la proprietà di sostenere la crescita velocissima (ottima per la produzione) succhiando tutta l’acqua dal terreno, rendendo aride le terre circostanti e la residua agricoltura tradizionale, e creando i presupposti ideali per la diffusione di incendi. Le dittature passano, le imprese restano: le due imprese continuano a lucrare sulle terre. Quando le comunità tradizionali tentano di ri-occuparle, i Carabineros si occupano del lavoro sporco: arresti, brutalità, perfino esecuzioni extra-giudiziali. Come quella del giovane leader di una comunità indigena Mapuce Camilo Catrillanca, ucciso un anno fa con un colpo alla nuca.
Dal 2018, secondo dati ufficiali, sono 558 le vittime della violenza rurale. Dal 200 al 2010 si parla di oltre centinaia di vittime. La rivolta contro l’ingiustizia che attanaglia il Cile vede nei Mapuce uno dei protagonisti principali, tanto nelle campagne che nelle città, tanto che la bandiera Mapuce ne è divenuta il simbolo e campeggia giorno e notte sulle statue di Praza Italia, ribattezzata Praza Dignitad.


Diseguaglianze e neo liberismo: la grande rivolta che sta scuotendo il Cile ha un chiaro obiettivo. E’ esplosa per un aumento del prezzo del biglietto della metro di Santiago. Un aumento neppure enorme, ma la goccia di un vaso ormai colmo. Un intero popolo è stremato da cinquant’anni di liberalizzazione assoluta promossa dal dittatore Pinochet e mai attenuata. La salute è privata e costosissima. La pensione è un terno al lotto: la compagnia pensionistica (privata, ovviamente) investe in borsa. Finché la borsa va magari hai la pensione, se va giù, ci dispiace, è andata male. La popolazione cilena è stremata, e le proteste godono di un supporto esteso. I cortei sono accompagnati dai saluti festosi dei clacson: delle auto bloccate dalla manifestazione stessa incitano i manifestanti a continuare. Un decimo di tutta la popolazione è sceso in strada a ottobre, sfidando le autoblindo dei Carabineros. Giustizia per i morti e gli accecati Con l’esplodere del movimento, e con i morti lasciati sulle strade, e le centinaia di occhi spappolati dalle pallottole di gomma sparate deliberatamente al viso, sono emerse altre domande: giustizia prima di tutto, processi trasparenti, riforma della polizia, e soprattutto una nuova costituzione, dato che l’attuale è ancora quella scritta dal dittatore su misura per il suo regime.

E poi la domanda di autonomia, riconoscimento e restituzione delle terra da parte della popolazione indigena Mapuce, terre stappategli dalla dittatura di Pinochet per darle alle grandi cartiere che vi hanno creato l’industria delle piantagioni di legno e della carta. A cinquant’anni dal grande furto di terre ben poco è stato restituito alle comunità tradizionali, anzi le piantagioni continuano a espandersi e i Mapuce che ri-occupano le loro terre imprigionati, bastonati, uccisi. La bandiera Mapuce non a caso è divenuta la bandiera della rivolta. Il libero mercato, questo sovversivo La risposta del presidente Piñera e del governo è stata inviare l’esercito. Dopo le brutalità dei carabineros, dichiarando lo stato di emergenza e il coprifuoco. La repressione è stata additata al ministro dell’interno Andrés Chadwick, uomo del dittatore Pinochet, accusato dalla Commissione speciale del congresso di essere responsabile dell’esecuzione extragiudiziale del leader indigeno Camilo Catrillanca e della militarizzazione delle aree indigene.

 “Siamo in guerra contro un nemico potente e implacabile che non rispetta nulla e nessuno” ha dichiarato Piñera, lasciando intendere che forze oscure puntassero a distruggere il Cile. In guerra sì, ma contro il suo stesso paese: un milione di persone, su una popolazione di 18 milioni, ha sfilato pacificamente a Santiago in ottobre per chiedere una nuova costituzione.

 Per screditare il movimento che chiede le sue dimissioni, il Presidente Piñera lo ha descritto come mera delinquenza organizzata, guidata da oscure forze destabilizzanti che soffiano sul fuoco della rivolta. Ma di organizzazione se ne vede ben poca. Se c’è davvero un grande vecchio di questa rivolta, un’entità che spinge verso la radicalizzazione dello scontro, questa non è la Spectre del Terrore, ma il cuore stesso dello spirito neo-liberale: il libero mercato. Nella zona rossa, quella dove la polizia non entra se non in formazione falange macedone, decine e decine di venditori di strada stendono sull’asfalto un il loro fazzoletto e vendono tutto quello che può trovare mercato: bandiere Mapuce, empanadas vegane, dolci macrobiotici, bandane, fazzoletti da volto con simboli vari, occhiali protettivi (da moto, da nuoto, da bicicletta), bustine di bicarbonato anti-lacrimogeno, adesivi, figurine magnetiche, mascherine antigas, passamontagna e perfino fionde e biglie. Tutto a prezzi popolari, perché anche la concorrenza è spietata. Tutta questa offerta implica la tentazione di utilizzare tanto bendidio. In assenza di gruppi organizzati che guidano la rivolta, il commercio di strada si è trasformato nella spina dorsale logistica delle proteste, ma anche in un diavolo tentatore verso azioni più estreme. Il libero mercato, come Kronos, che divora sé stesso.

Una banda di una trentina di strumenti suona all’impazzata musiche dal ritmo irresistibile, attorno migliaia di persone ballano felici e scatenate. Bandiere del Cile e bandiere Mapuce sventolano allegramente. Poco più in là un’altra banda, e un’altra folla che salta e balla. Più oltre, due one-man-band girano velici in circolo come dervisci con le loro batterie che ritmano all’impazzata. Qualcuno fa partire dei fuochi d’artificio, tra boati di entusiasmo. Sembra una festa popolare ben riuscita, ma qualcosa non torna, c’è come qualcosa di sbagliato: è l’aria. L’aria della piazza non è impestata da colonne di fumo di salsiccia, incensi orientali alito di vinaccia, no, l’avvolge una coltre azzurrina di gas lacrimogeno. Non che le salsicce manchino: in un banchino due ragazzi con occhiali protettivi e bandana, cuociono solertemente würstel – che probabilmente avranno acquistato un aroma tutto particolare. I candelotti lacrimogeni cadono regolarmente ai margini della piazza, ma le migliaia di manifestanti non scappano, piuttosto ballano. Il volto coperto da bandane, fazzoletti, magliette arrotolate a mo’ di burqa, ballano e cantano.

I fazzoletti non sono per coprire il volto, ma per respirare. Li portano gli alternativi, i ragazzi delle periferie, ma anche anziani, professionisti, Li portano le mamme e i bambini. Le signorinelle eleganti – in gonnella e casco. Si vendono ai margini della piazza, c’è quello con l’arcobaleno che rappresenta l’unione dei popoli indigeni. C’è quello verde delle femministe, che tutte normalmente portano al polso come un bracciale (in città vedi signore di tutte le età col fazzoletto verde) ma una volta in piazza si srotola e finisce sul volto. E poi c’è il fazzoletto rosso col simbolo della rivolta: Negro Matapacos: il cane mascotte delle proteste studentesche, poi passato a miglior vita e santificato dai manifestanti. Si narra che abbaiasse con entusiasmo ai cordoni di Carabineros, bandana rossa al collo, ragion per cui Nero è stato ribattezzato l’ammazzasbirri (Matapacos), benché, pare, non gli sia scappato neanche un piccolo morso. Di fatto, è divenuto un culto: le icone di Negro Matapacos sono onnipresenti: magliette, adesivi, magnetici, fazzoletti, poster. Lo vedi sui muri circondato di cherubini o neoclassicistiche ninfe. I fazzoletti non sono tutto. In molti portano occhiali e casco da bicicletta o da moto, per proteggersi dalle pallottole di gomma sparate altezza volto. E poi entra in scena l’improvvisazione. Una ragazzina in divisa scolastica, con kilt, cravattino e le calze bianche, si porta verso la piazza trascinando un pesante scudo fatto con la porta strappata a un vecchio frigorifero. La sua compagna è più fortunata, ha trovato un’antenna parabolica. I carabinieri assaltano la Croce rossa In tanti hanno uno sprizzino con acqua e bicarbonato, che offrono generosamente al prossimo loro.

Lo stand della Croce Rossa cilena offre un liquido rosa dal contenuto indefinito – sì, hanno montato uno stand, lo stesso che per onorare la giornata dei diritti umani, i panzer dei Carabineros penseranno bene di assaltare. I volontari del servizio sanitario auto-organizzato, dotati di casco e scudo crociato (Templari di strada?), offrono agli anziani mascherine di carta spruzzate di liquido bianco. Due ragazze mi spruzzano il fazzoletto con un liquido verdognolo: “non è bicarbonato – spiegano con orgoglio – è infuso di alloro, molto più sano!” Omeopatia e fitoterapia applicate allo scontro di piazza.


Una bimba dondola sull’altalena in un rettangolino di verde al lato dello stradone. Il padre le ha costruito l’altalena appendendo la bicicletta a un albero, e alla bicicletta la corda su cui la bimba siede felice. A pochi metri giunge un’autoblindo dei Carabineros. E’ verde scuro, coperta di grate e piena dei graffi e degli schizzi di vernice bianca sul metallo: un autentico veterano. L’autoblindo si ferma minacciosa, un ragazzo le si avvicina e lancia un sasso, che rimbalza innocuamente sulle grate. Sulla strada un mucchio di immondizia è in fiamme. La bambina scende cautamente dall’altalena, aspetta che la scena si concluda, che l’autoblindo abbia finito di sparare col cannone ad acqua, poi risale sulla corda e riprende a dondolare con allegria. Due ragazze hanno portato i fratellini piccoli, e ora mangiano insieme un ghiacciolo, cosa che richiede pratica, portando il fazzoletto sul naso. Un papà fa ingresso nella piazza col figlio di cinque anni, mano nella mano. Entrambi hanno gli occhiali protettivi, il bimbo ha una mascherina antigas. Un altro bimbo tiene un cartello: mai più violenza in Cile. Sorride orgoglioso. Al collo, la maschera antigas. Ai margini della piazza un bambino di tre anni gioca. Ha un camion di plastica. E un fazzoletto al collo. E’ molto preso dalle manovre del suo camion. La mamma lo segue con la coda dell’occhio e parla amabilmente con un’amica, forse un’altra mamma. Una scena da giardinetti. Ma entrambe hanno il fazzoletto sul viso e gli occhiali protettivi. E dal fumo azzurrino, da un momento all’altro potrebbe sbucare una colonna di autoblindo che sparano all’impazzata su tutto quel che si muove. 


El violador es tu
In Italia lo chiamano flash-mob, ma è molto di più, è poesia, è sociologia, è azione. Il testo infatti, scritto e inscenato da un collettivo femminista di Valparaiso, LasTesis, è il distillato di uno studio sui processi per stupro in Cile.


Malgrado la sua brevità il testo riesce a citare due documenti: il primo è la drammatica testimonianza di una donna violentata “la colpa non è mia (avevo cinque anni) di dove stavo (a scuola), di come vestivo (uniforme scolastica)”. E il secondo documento è un brano dell’inno dei Carabineros (il tuo amante carabinero). Il testo, riprendendo le tesi dell’antropologa argentina Rita Segato, demistifica lo stupratorecome individuo che agisce per il piacere sessuale, e focalizza su un intero sistema che intero genera ruoli, e quindi li difende, proteggendo, sostenendo e incitando alla violenza sessuale e esercitando costantemente la violenza fisica: dallo stupratore che violenta, al giudice che lo assolve mentre colpevolizza le vittime, ai Carabineros, noti per la loro brutalità – ma anche per gli stupri, fino al Presidente, lo stesso che in Cile non ha esitato a dichiarare il coprifuoco per mettere a tacere le proteste e a negare giustizia. Il titolo, uno “stupratoresul tuo cammino”, è la parodia di una pubblicità dei Carabineros, un amico sul tuo cammino. L’istituzione dei Carabineros è impregnata di violenza: in questi mesi di proteste hanno sparato sulla folla facendo numerose vittime, oltre 200 manifestanti hanno perduto un occhio a causa delle pallottole di gomma sparate mirando al volto. Secondo un recente rapporto dell’ONU riporta per gli ultimi tre mesi oltre 4.900 feriti dalle forze di polizia, 113 casi di tortura e 24 casi di violenza sessuale verso donne, uomini e adolescenti da parte delle forze di polizia e dell'esercito. Da mesi il Cile è in sommossa contro la crescente divaricazione sociale e contro la violenza degli apparati statali. A Santiago del Cile ogni giorno i manifestanti, sostenuti dalla popolazione locale, si scontrano con i Carabineros, chiedendo le dimissioni del Presidente Piñera e una nuova costituzione. Le altre città del paese non sono più tranquille. In questa situazione esplosiva si è diffusa l’azione poetica dei LasTesis, sperimentata prima a Valparaiso, e poi replicatasi spontaneamente a Santiago. E così come la bandiera dei Mapuce è diventata il simbolo della rivolta cilena, “El violador es tu” ne è divenuto la colonna sonora, per poi straripare in Argentina, Colombia, Costa Rica, Cuba, Ecuador, El Salvador, Francia, Germania, Guatemala, Messico, Paraguay, Peru, Spagna, Uruguay, Venezuela.


A Città del Messico erano migliaia. Ora se giri la sera, ci sono in strada gruppi di 2-3 ragazze giovani che la replicano sotto casa. Ma l’azione ha passato il confine generazionale: qualche giorno fa è stata cantata-ballata da migliaia di donne anziane a Santiago.


 “Non la consideravamo una canzone di protesta – dice Paula Cometa, di LasTesis – La verità è che la performance è sfuggita di mano, e la cosa bella è che se ne sono appropriati altri”, aggiunge. “Poi ci hanno chiamato da Santiago e abbiamo deciso di andare”. Qualche giorno fa l’ho vista cantare dalle anziane lavoratrici dell’Università di Santiago (bidelle, donne delle pulizie, aiutanti tecniche), visi sfatti dal lavoro, con la timidezza impacciata di chi non ha mai pensato di poter avere le luci della ribalta, ma orgogliose di esserci e di parlare. Il messaggio ha travalicato i confini dei gruppi femministi, e anche quello della protesta studentesca, abbattendo le barriere sociali e di età. Alla seconda prova, tre delle lavoratrici, con orgoglio antico, l’hanno voluta cantare nella lingua del popolo Mapuce. Un messaggio potente allo Stato cileno, governato da una manciata di famiglie potentesi che dall’epoca di Pinochet si spartiscono il potere e i beni del paese.



Il testo:
Il patriarcato è un giudice / che ci giudica per esser nate,E la nostra punizione / È la violenza che non vediÈ il femminicidio / l’impunità per il mio assassino.È la scomparsa. / È lo stupro.E la colpa non è mia di dove stavo, di come vestivoLo stupratore sei stato tu.Lo stupratore sei tu.È le guardie / è i giudici, / è lo stato / è il presidenteLo stato oppressore è un macho stupratoreDormi bene, ragazza innocente, senza preoccuparti del bandito,che sul tuo sogno dolce e sorridente veglia il tuo amante carabinero.(citazione dell’inno dei Carabineiros)Lo stupratore sei tu.Lo stupratore sei tu.

Nessun commento: