venerdì 13 marzo 2015

Passeggiata in foresta

Il giorno successivo siamo di nuovo in mare per visitare una foresta ancora in piedi, nella Penisola di Kampar. Le orecchie non si sono ancora abituate al frastuono del Pon Pon. Dopo qualche chilometro di mare, la barca imbocca la foce di un fiume e inizia a risalirlo. All’inizio le rive sono costeggiate di mangrovie che si ergono sulle radici aere sopra unl suolo di argilla.
Piccoli animali brulicano in cerca di cibo nel breve intervallo fra le maree, pronti a nascondersi nei loro buchino e a sigillarne l’entrata appena le acque inizieranno a risalire. Risalendo il fine, la generazione inizia a cambiare. Sparisce l’argilla, sostituita dalla torba, gli alberi si fanno più fitti, i rami intersecati l’uno all’altro in un groviglio di foglie, e liane, e radici aeree in cui scorrazzano scimmie, in cui i tucani fanno il nido.
Il fiume è un nastro tortuoso, la barca deve essere periodicamente sollevata per superare i tronchi che ne bloccano la traversata, ogni minuto bisogna abbassare la testa per evitare qualche ramo a pelo d’acqua. Il viaggio prosegue lento, ed è ormai il tramonto quando arriviamo al un lago circondato dalla foresta.
Mentre lo attraversiamo, le sue acque si tingono di grigio-azzurro, e quando arriviamo sull’altra sponda è ormai quasi buio. Inciampando ci incamminiamo nella foresta. Dopo pochi metri l’oscurità totale ci circonda. E’ un buio che si potrebbe tagliare col coltello per quanto è denso. Il nostro buio è fatto di una infinita quantità di luci e luminescenze che trapelano da ogni fessura, il buio della foresta non ha imperfezioni, è totale.
E il buio totale non fa che enfatizzare il frastuono della foresta: centomila grilli, raganelle, cicale, uccelli notturni, e altri animali non identificabili, lanciano i loro richiami uno sopra l’altro, in un rumore che fa vibrare le orecchio, pur duramente provate da ore di Pon Pon. All’improvviso, mentre inciampiamo tra intrichi di radici che non possiamo vedere, la nostra guida dice che è ora di tornare indietro. E’ un po’ un peccato, perché vorremmo restare più a lungo immersi nella foresta, ma la decisione sembra irrevocabile. Solo dopo, quando saremo tornati al villaggio, uscirà fuori che ha udito il ruggito di una tigre. L’avrà sentito davvero? Forse sì, forse l’ha creduto. Sicuramente sa decifrare i suoni della foresta molto meglio di noi. Torniamo lentamente alla barca, che lascia il lago mentre si fa nero, per immettersi nel fiume, che ridiscenderemo al buio. Ogni tanto un tronco di traverso compare nel buio, e ci si abbassa sempre troppo tardi. Un’attivista cinese che è con noi è letteralmente trascinata indietro per due buoni metri da un tronco che le si è piantato sulla fronte. Dalle foglie che ci frustano la faccia piovono animali di ogni genere che iniziano a passeggiare per la barca in cerca di una nuova collocazione. La notte nella foresta è squarciata dal ruggito feroce del motore. anche le nostre orecchie. Al buio la barca supera uno per uno i tornanti del fiume, i tronchi caduti, le secche improvvise. Sono buone tre ore rami che compaiono dal nulla per frustarti la faccia.

La barchetta passa finalmente la foce del fiume che è notte fonda. Come si immette nel mare inizia a sobbalzare pericolosamente. Il mare è mosso, le onde sballottano la barchetta, che lunga e stretta, è fatta per scivolare sulle piatte acque del fiume. A ogni onda sembra che la piccola barca si voglia rovesciare, mentre spruzzi di acqua inondano i suoi occupanti. Ognuno sigilla il sacchetti e buste di plastica il proprio equipaggiamento, e cerca di coprirsi dagli spruzzi con giacche a venti o teli.
La mano che tiene il timone è esperta, e manovra con agilità prendendo le onde frontalmente, per poi riportarsi di traverso tra un’onda e l’altra. La barca cavalca le onde tenendosi costa costa, sfilando davanti alle mangrovie che affondano nell’acqua.Ci vorranno ancora tre ore prima di raggiungere il villaggio di Teluk Lanus. I minuti passano interminabili, uno a uno, segnati dalle oscillazioni e dagli spruzzi d’acqua. La luna è oscurata dalle nuvole e la barchetta è immersa nel nero del mare, interrotto solo dai lampi di una burrasca poco più a nord.

Finalmente arriviamo a riva, ma ci accorgiamo della differenza della marea: il pontile si erge sopra di noi per metri e metri. Cerchiamo di arrampicarci lungo una specie scala. I pioli sono distanti un metro l’uno all’altro, viscidi di alghe e umidità. In cima al pontile il vento soffia e sembra che voglia portarti via. Un’ultima sorpresa aspetta: diversi metri di assi divelte, sotto cui si spalanca il buio e il risucchio del vento. Tra i due lati, un’asse traballante. E’ l’unica strada per arrivare a terra, e anche se il vento ti sbatacchia ci si passa con un salto. Nel villaggio ci aspettano riso e tè. E qualche ora di buon sonno.

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