sabato 23 maggio 2009

Faggeta notturna


Un vento leggero porta profumo di terra. Un cerchio di ombre attorno a un lume. Le loro voci coperte dai rumori del bosco. Sul suolo di foglie secche, un cerchio di sagome mostruosamente distorte, si estendono fino a confondersi con l’oscurità circostante. Come colonne grigiastre, i tronchi dei faggi svettano scomparendo nel nulla opaco del cielo. La foresta non è diversa dal tempio in cui i druidi celti invocavano le divinità silvestri, fino a quando le ordinate legioni romane non hanno fatto piazza pulita dei druidi e dei loro alberi sacri.
La luce si riflette su strati di foglie, che uno sull’altro, ramo su ramo. Cielo su cielo, come un caleidoscopio di universi sovrapposti.
Gli alberi tacciono. Gli alberi non camminano, non pensano, non parlano. Ma la foresta vive di loro: animali camminano, pensano, alcuni parlano, e tutti lavorano per gli alberi. Diffondono semi, spargono pollini, e ricevono in cambio cibo, riparo, acqua, ossigeno. Gli alberi, nel loro silenzio apparentemente ozioso, orchestrano i diversi strati di vita, la rete di nicchie ecologiche che pullula fra le radici e le fronde. Singoli alberi che ospitano centinaia, a volte migliaia di specie animali, un intero zoo in pochi metri, senza gabbie e senza sbarre. È un governo illuminato, forse perché non pensante, ma è sotto le sue leggi che gli umani hanno imparato il pensiero razionale, quello che nel giro di pochi millenni – in attimo – li ha portati rimuovere tutti gli alberi sul cammino della civiltà industriale.

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