giovedì 4 febbraio 2010

Vi ricordate le lucciole?


L’ora è arrivata. Dal tappeto di fronde, venti metri più in basso, si leva un coro di suoni, sirene e ululati, come se qualcuno stesse cercando di rubare contemporaneamente tutte le auto parcheggiate di un’intera città.
È il canto del tramonto, che in realtà precede il tramonto di alcune ore. Sceso alla base della torre mi trovo immerso nel buio, e solo dopo alcuni minuti gli occhi si riabituano completamente alla penombra. Arrivato al campo la penombra si è fatta buio pesto. Un buio vivo, abitato da suini, scricchiolii, cicaleggi, fruscii. Impastato di odori umidi, caldi, viscosi. Un buio interrotto e reso più denso dal fitto svolazzare delle lucciole. Le lucciole… È un tuffo nell’infanzia, quando volavano a centinaia nell’aria fredda dietro casa, in Trentino. Cercavo di acchiapparle per fare le lanterne degli gnomi. Ricordo la delusione di questa magica luce delle fate, che una volta portata alla luce si rivelava un banale coleotterino dal colore insipido. Era difficile capire che le magie non possono essere portate in casa, che devono restare nel loro mondo. Ma erano sempre una magia. Ora non ci sono più, come le magie dell’infanzia, come gli gnomi, come le favole: una cosa del passato. Ma a differenza delle favole, non le ha fatte svanire la scuola, le hanno eliminate in pochi decenni i pesticidi dei nostri campi.
Guardo le piccole luci che oscillano tremolando nell’aria e mi domando decenni ci vorranno per far piazza pulita di questa foresta, di questo buio così intenso e vivo, delle sue luci tremolanti, dei suoi suoni. E un giorno anche questa notte non sarà che la dolce bugia di un racconto fatato.

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